RomaFranco Debenedetti, dopo le elezioni il Pd incassa un brutto risultato e discute di alleanze. Si riparla di Ulivo, di Unione, di centro-sinistra col trattino. Un ritorno al passato?
«Come sempre, dopo la sconfitta cè la resa dei conti. E nel Pd si discute di nuovi assetti e di strategie e alleanze, le une in funzione degli altri».
Siamo allarchiviazione della «vocazione maggioritaria» di veltroniana memoria?
«Sono tra coloro che, nel giugno 2007 al Lingotto, hanno salutato con soddisfazione labbandono dellantiberlusconismo come categoria politica della sinistra, e la scelta delle coalizioni costruite sul programma e non più dei programmi cuciti sulle coalizioni. Nel mio ultimo libro (La guerra dei trentanni, ndr) la ho definita la fine della guerra, pur essendo ben consapevole che a scontro bellico finito le scaramucce possono continuare».
A rubare più voti al Pd è Di Pietro. Come mai sono ancora così contingui i loro elettorati?
«Perché lo sono sempre stati. Il moralismo è parente stretto dellantipolitica. E fin dai tempi della Prima Repubblica, le posizioni moralistiche hanno sempre ottenuto largo spazio a sinistra, soprattutto nellarea dei cosiddetti estremisti di centro. Una volta si opponevano a Craxi, poi a Berlusconi, come dimostrano le recenti polemiche su cui si è fatta campagna elettorale».
Sulla carta, le diverse opposizioni a Berlusconi hanno quasi la metà dei voti. Ma metterle insieme, da Casini a Vendola passando per Di Pietro, le sembra unoperazione possibile?
«Mi pare impossibile e anche eccessivamente semplicistico. Per colpa di coalizioni non omogenee abbiamo mandato a casa Romano Prodi per due volte in dieci anni. Mi sembra difficile che qualcuno ora si presti a fare la terza vittima, visto che Prodi non mi pare disposto a ritentare ancora».
Ma da che parte bisogna guardare per creare una coalizione attorno al Pd? Manca, come secondo «Repubblica» dice Massimo DAlema, una identità di sinistra del Pd?
«DAlema si conferma la mente politica più lucida del Pd. Ma se ha ragione lui, che tempo fa disse che lItalia è un paese di destra, allora è inutile cercare di assemblare tanti pezzi di sinistra. Io non credo che ci siano due popolazioni antropologicamente diverse, una di destra e una di sinistra: lItalia appare in una fase di destra anche perché da sinistra non è venuto fuori nessun programma o personaggio capaci di convincere la maggioranza degli elettori. Alla fine tutto si riduce a questo: un programma e delle idee convincenti, e un leader credibile e forte. Su questo il Pd deve ricominciare da capo. Daltronde il problema di programmi e leader capaci di unificare si porrà anche nel centrodestra, quando il ciclo politico di Berlusconi si sarà chiuso».
Intanto però è tutta lEuropa che sembra andare a destra, penalizzando duramente i partiti dellarea Pse.
«In tutti i paesi europei, e non solo in Italia, hanno prevalso istanze e sentimenti nazionali.
LEX SENATORE DS FRANCO DEBENEDETTI
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