Perché l'Expo? Per quale ragione Milano si è infilata - inizialmente con tanto entusiasmo - in questa complicata avventura? Il grande rilancio internazionale della città, l'occasione per far arrivare finalmente anche qui - e non solo sempre a Roma o a Torino - finanziamenti pubblici per adeguare, in vista di un evento memorabile, il sistema delle infrastrutture, il disegno urbanistico e l'attrattività complessiva della metropoli all'obbiettivo del rilancio. Ora invece sbuca il piano B: investimenti dimezzati, niente grattaceli, niente nuovi padiglioni della Fiera, niente via d'acqua che riprendono i navigli, niente percorsi storici di terra, niente linea 6 della metropolitana. Niente. E agli Stati generale tenuti al Dal Verme di cosa si sente parlare? Il verde, gli alberi, orti sui terrazzi, cibi genuini. E, per carità, «no a colate di cemento». È la linea che Il Foglio ha definito «agro-minimal», versione Expo della solita ideologia tardo-ambientalista-buonista.
D'altra parte già il tema scelto, «nutrire il pianeta», minacciava fin dall'inizio questa deriva, evocando argomenti come «la fame nel mondo», «equo e solidale», «piccolo è bello» eccetera. E alla prima occasione ci siamo cascati. Ma è questo che interessa alla città? Sarebbe questo il grande rilancio internazionale di Milano? Expo viene da esposizione, mostrare, esibire qualcosa, possibilmente collegata all'idea di progresso e sviluppo. Alle speranze dell'umanità. Nutrire il pianeta è una bellissima speranza, ma cosa esponiamo, gli orti sui terrazzi, pomodori biologici? E siamo messi proprio male se perfino Alberto Meomartini, neo-presidente di Assolombarda, che perciò più di altri dovrebbe spingere per una visione espansiva, strutturale, concreta e non ideologica di Expo propone «un Erasmus straordinario, un grande scambio fra ragazzi nostri e di altri paesi». Ma per una cosina del genere non serve certo l'ambaradan dell'Expo. Nel 2010 Shangai stupirà il mondo con la sua fantasmagorica Expo (ricordate le Olimpiadi di Pechino?).
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