L’identikit dei «nuovi italiani»: maschi, 30 anni, fedeli all’Islam

Quattordicimila stranieri pronti a chiedere subito la cittadinanza. Molti arrivano dai Paesi arabi e nel 34% dei casi sono già proprietari di una casa

Giacomo Susca

Netta preponderanza di soggetti provenienti da Paesi di tradizione islamica, uomini, con un lavoro stabile, reddito medio relativamente elevato e inserimento nel tessuto sociale già avviato da tempo. La fondazione Ismu (Iniziative e studi sulla multietnicità) traccia l’idenkit del potenziale beneficiario del disegno di legge sulla nuova cittadinanza, ottenibile dopo soli cinque anni di residenza regolare in Italia.
Gian Carlo Blangiardo, docente di Demografia all’università di Milano-Bicocca, illustra i dati della ricerca svolta per conto del ministero del Lavoro, isolando la realtà milanese dal contesto nazionale. «Sono 65mila gli immigrati che risiedono in città da almeno cinque anni, più altri 13mila che hanno maturato il diritto in virtù della precedente legge Martelli». In riferimento a questi 78mila - a cui comunque vanno aggiunti gli 8mila bimbi nati qui negli ultimi cinque anni da genitori immigrati e iscritti all’Anagrafe comunale - l’Ismu ha sondato ulteriormente il terreno analizzando quei parametri che dimostrano l’effettiva esistenza di un progetto orientato alla richiesta della cittadinanza in tempi brevi. «Studiando le carte di soggiorno e sottoponendo questionari alle diverse comunità, abbiamo contato 14mila persone pronte a chiedere la cittadinanza subito», riferisce Blangiardo. Si ricava così il ritratto del futuro italiano, che è un uomo nel 61 per cento dei casi e ha in media 35 anni. La lista delle provenienze ha in cima le nazioni arabe (16% gli egiziani e 14% i marocchini), seguita dall’Asia (soprattutto filippini, con il 17,5%, i più rappresentati in assoluto). Numerosi anche i cinesi, pari al 9,8 per cento del totale. Ben radicata la loro presenza sul territorio, visto che il 34% è proprietario di casa e il 42% risiede in affitto con i congiunti. La maggior parte non ha figli al seguito, ma il 38% dei nuclei familiari ne ha due. Interessante la suddivisione per professioni religiose, con il 40% di musulmani contro il 25% di cristiani cattolici e 32% di cristiani di altre fedi. Da sottolineare inoltre, secondo Blangiardo, i curriculum qualificati (il 38% è laureato e il 46% diplomato) e poi la condizione lavorativa: «Quasi il 90% è occupato, la metà a tempo indeterminato. Piuttosto alte le retribuzioni, con una media di 1.381 euro mensili a testa e con almeno il 50% che ne guadagna 1.200». E c’è pure un 9% di imprenditori.
Cifre che sembrano rassicurare dal punto di vista dell’integrazione «reale» degli stranieri interessati dal provvedimento, e sulle cui conseguenze immediate l’esperto esprime il suo giudizio: «Chi decide di diventare italiano lo deve fare nel rispetto delle regole e della nostra tradizione - osserva Blangiardo -.

Ritengo che il decreto di per sé non è una panacea, ma non andrebbe nemmeno demonizzato. Di certo, se gli immigrati si mettessero a fare politica con un partito tutto loro - conclude - sul piano della convivenza e della reciproca compatibilità non si partirebbe affatto col piede giusto».

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