Condannato, ma non espulso. Perché, per i giudici della seconda corte d’assise di Milano, Abu Imad - l’attuale imam della moschea di viale Jenner condannato il 20 dicembre scorso a 3 anni e 8 mesi di reclusione con l’accusa di essere il promotore di un’associazione a delinquere di stampo islamista radicale - «si è ravveduto». Nelle motivazioni della sentenza, infatti, si legge che è provato l’«avvenuto distacco dall’estremismo militante» di Abu Imad, il quale quindi non va espulso «dal territorio dello Stato a pena espiata».
Secondo la corte - presieduta dai giudici togati Nobile De Santis e Andrea Ghinetti - l’organizzazione di cui faceva parte Abu Imad non coincideva interamente con «Ansar al Islam, ma ne condivide certamente il programma terroristico, l’impegno contro “ebrei e crociati” e contro gli stessi regimi islamici moderati, in un quadro di conferimento comune di risorse (anche di provenienza illecita) e assistenza reciproca secondo un modello per così dire federativo tra gruppi».
Ancora. Per i giudici esisteva «una vera e propria struttura militare con legami internazionali» radicata tra Milano, Gallarate, Brescia e Cremona.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.