L’immagine dell’America è la vera forza del dollaro

Alla fine torna sempre tutto al verdone. Oscilla, barcolla, scende, si riposiziona, sonnecchia, subisce. Poi ritorna: rosicchia ogni giorno qualcosa all’euro, ristabilisce le distanze, mette paletti. Colpa degli altri? Dicono: ma oggi l’euro scende perché la Grecia lo tira giù. Certo. Eppure la realtà è anche un’altra: quella di un re che sembra che debba abdicare, ma poi si riprende il suo regno. Il dollaro è così perché è la faccia di un Paese che ispira fiducia a prescindere: può precipitare in una crisi profonda come quella dell’anno scorso, può subire scossoni, può persino sentirsi dire di non essere più la guida del mondo, però poi resta il tronco al quale t’aggrappi per non sprofondare.
Ecco, il dollaro è l’immagine dell’America più di quanto siano molte altre cose. È la bandiera alternativa alle stelle e strisce: un’immagine certa, un caposaldo, una certezza. Sappiamo che ci sono economie in espansione molto più forte degli Usa, però le loro monete non corrono alla stessa velocità. Il dollaro resta. È il centone che ti guarda attraverso gli occhi di Benjamin Franklin, o il pezzo da cinque che ci squadra con il volto severo di Lincoln: oltre che un valore nominale e politico, è anche un biglietto da visita. «Io ho questi, tu che hai?». Ecco perché lo chiamano bigliettone: non compra solo beni, acquista la fiducia di chi lo possiede, di chi lo cerca, di chi lo usa. Provate a leggere le analisi degli economisti nel corso della storia: troverete l’esaltazione sia nei momenti di forza del dollaro, sia in quelli di debolezza. Perché ogni piccola era del verdone ha i suoi lati positivi: lo giri, lo volti, lo leggi come vuoi. È la consapevolezza dell’universalità dell’America e del mondo che le ruota attorno: si vede nei mercati finanziari e nel piccolo cabotaggio. Così arrivi in Cina o in qualunque altro Paese asiatico e se tiri fuori dollari dal tuo portafoglio ti presenti bene: la chiave per aprire qualunque trattativa. Così pure in Israele. Provata la stessa cosa con l’euro, non questo, ma quello di qualche mese fa: fortissimo sul dollaro, in grado di comprare praticamente tutto. Ecco non era e non è la stessa cosa. È una questione di suggestione, oltre che di analisi valutaria.
Il dollaro è un’istituzione e un compagno di viaggio: ha aperto la politica diplomatica statunitense prima di ambasciatori e mediatori. Ha comprato guerre, paci e democrazie. Tutto quello che nessun’altra moneta è riuscita a fare l’ha fatto un cumulo di bigliettoni. È entrato nella testa e nel cuore delle masse col cinema, il verdone. Come in Una poltrona per due, dove i fratelli Duke scommettono su che cosa spinga un uomo verso la criminalità: Mortimer sostiene che alcune persone siano geneticamente predisposte alla delinquenza o al successo dalla nascita, Randolph è convinto che sia l’ambiente nel quale si vive a determinare l’agire e le abitudini, sia positive che negative, di un individuo. Così fanno in modo che il loro pupillo, il broker Louis Winthorpe III, venga arrestato, incastrandolo per spaccio di droga, e perda tutto ciò che ha ottenuto nella vita: amici, fidanzata, conto in banca, lavoro e casa. Vogliono vedere se un ragazzo bene diventa un criminale e vogliono capire chi ha antropologicamente ragione. Scommettono. Un dollaro. Un misero e squallido dollaro. Un pidocchioso biglietto verde che non ha praticamente valore, se non quello simbolico creato dal regista. Perché quella scena rivela la critica al capitalismo, ma anche l’esaltazione del dollaro come soddisfazione di un bisogno.
Con l’euro non sarebbe stata la stessa cosa. Né con la sterlina, né i defunti Marco, Lira e Franco. Il dollaro è un’immagine e una realtà: c’eravamo convinti, noi che voliamo più bassi della finanza globale, che l’euro forte sarebbe stato una rivincita. L’idea di potersi comprare gli Usa in saldo: dalle case, alla tecnologia, all’abbigliamento, alle auto. Ci è sembrato di vivere per qualche tempo in un Monopoli reale, dove con un biglietto senza storia ti prendevi tutto. È stata un’illusione, appunto. Per mesi italiani, francesi, spagnoli, hanno coltivato il desiderio di viaggi transoceanici di divertimento e shopping. La festa è finita: la prossima volta che l’euro schizza converrà sbrigarsi. Sarà solo una parentesi, prima di un’altra rimonta del dollaro.

E prima di un altro restyling del bigliettone: l’ultimo ci sarà l’anno prossimo, quando sotto il volto di Franklin il cento sarà rosso. Tutto il mondo, però, continuerà sempre a chiamarlo verdone. Significa qualcosa di più. Spiega tutto.

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