Nel dibattito sul «partito democratico» c'è un mastino che non abbaia, come quello sherlockiano dei Baskerville: è Guglielmo Epifani. La Cgil è sempre stata protagonista nella sinistra italiana: con Luciano Lama, Bruno Trentin, Sergio Cofferati per restare agli ultimi decenni. Nel mondo «le svolte» della sinistra sono sempre preparate facendo i conti con il sindacato: Tony Blair apre la marcia al centro con un duro confronto nel congresso delle Trade union, Lionel Jospin si organizza la sconfitta concordando con Cgt e Cfdt la sciagurata legge sulle 35 ore, Gerhard Schröder fa della dialettica con la Dgb la base per costruire il (fallito) spostamento al centro. I tentativi di modernizzare lo Stato passando dal sindacato hanno visto iniziative formidabili come quelle dell'ex premier olandese Wim Kok, già leader del sindacato. È il sindacato (soprattutto quello degli insegnanti) a fare da spina dorsale della campagna elettorale di John Kerry. Distorta dal pifferaio Arturo Parisi la sinistra italiana non bada a quel che la definisce prima di tutto: il rapporto con il lavoro dipendente. Eppure la Cgil non è mai stata così potente come oggi: si veda la Finanziaria.
Ma il problema non è solo quello dell'influenza dei prodiani. In tutta Europa (dalla Francia alla Germania alla stessa Inghilterra) il sindacato sta collocandosi tra posizioni riformiste e scelte conservatrici-massimaliste, senza più far automaticamente da sponda alla sinistra di governo. Questo è un problema grave per la sinistra: se non contrastato, produce inevitabilmente la plumbea linea tassaiola e conservatrice così ben espressa oggi da Tommaso Padoa-Schioppa e Vincenzo Visco. La questione diventa però irrisolvibile se al centro del maggiore sindacato si trova uno come Epifani che fa dell'immobilità la base del suo potere. Scelto perché Cofferati non riusciva a piazzare i suoi veri delfini (Carlo Ghezzi e Achille Passoni) perché non si fidava di un post comunista riformista come Giuseppe Casadio o di un post comunista radicaleggiante come Paolo Nerozzi, l'innocuo post socialista Epifani si è costruito un potere consistente a prezzo dell'immobilità. Non può fare vere svolte perché la base della sua influenza è il combinarsi dei diretti di veto delle varie correnti e muovendosi lo scompaginerebbe. Così la sinistra sindacale, naturalmente, cresce d'influenza: dai metalmeccanici al pubblico impiego, alla scuola, ai pensionati. Quando qualche osservatore si chiede perché vecchi topi d'apparato come Fabio Mussi rinuncino al loro posto caldo nei Ds per tentare un'avventura «a sinistra», bisogna ricordargli che ormai le forze «a sinistra dei Ds» contano anche su una base sociale organizzata nella Cgil assai consistente.
È malizioso pensare che un leader come Massimo D'Alema, nei fatti non nelle parole che dicono il contrario, solleciti la rottura dei Ds anche per preparare lo scontro inevitabile nella Cgil? È ragionevole pensare che un ex sindacalista come Franco Marini, che di questi tempi sta stringendo legami con il più vivace leader cislino dell'ultima generazione (Savino Pezzotta) non pensi anche a questo scenario, quando con D'Alema cerca di immaginare una via d'uscita dal cul de sac dove si trova oggi grazie a Romano Prodi? Certo, Epifani, per contrastare questi nuovi scenari che lo vedrebbero sicuramente fuori ruolo, può contare su una forza formidabile: l'inerzia. E avendo come compagni di strada due altri campioni dell'inerzia come Romano Prodi e Luca Cordero di Montezemolo, le sue ambizioni di rimanere un protagonista immobile della scena italiana non sono infondate.
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