Gianni Clerici
La guerra contro le patologie cardiovascolari diventa sempre più difficile. Lallungamento della vita anziché ridurre accresce il numero dei casi critici ma nel tempo stesso moltiplica le ricerche cliniche. Ad esse sono legate tutte le speranze di sconfiggere infarto, ictus e trombo-embolie, eventi pericolosi e spesso mortali. Qualche settimana fa su una rivista internazionale molto nota («Cardiology») è stato pubblicato uno studio multicentrico condotto in Italia e coordinato dal professor Sabino Illiceto, cattedratico di cardiologia delluniversità di Padova, su duemilacinquecento pazienti - di entrambi i sessi - colpiti da infarto acuto del miocardio. Molti di questi pazienti, ultracinquantenni, hanno tratto vantaggio dallaggiunta di carnitina alla terapia tradizionale. Spiega il professor Illiceto: «Già nella fase acuta abbiamo somministrato ogni giorno 5 grammi di carnitina, senza rinunziare ai trattamenti specifici delle patologie ischemiche. Abbiamo continuato con la carnitina anche quando - a pericolo scampato - i pazienti hanno lascito le unità coronariche, per almeno sei mesi».
Risultati? Lo studio segnala una «significativa riduzione della mortalità». Il professor Illiceto, che per arrivare a questa conclusione ha riunito i pareri dei cardiologi di varie strutture (in gran parte ospedaliere, in parte universitarie) spiega che sul piano scientifico la parola «significativo» equivale ad «alto». Quando non si può quantificare il numero dei pazienti sopravvissuti si ricorre a questa collaudata espressione.
La carnitina è una sostanza naturale che allinterno delle cellule svolge un ruolo fondamentale nel metabolismo dei grassi. Influenza (indirettamente) anche il metabolismo degli zuccheri e delle proteine, ma soprattutto garantisce il contenuto energetico di ogni cellula.
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