L’importanza di non restare «nani»

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L’importanza di non restare «nani»

Caro Lussana, vorrei intervenire nel dibattito sullo stato dell'opposizione a Genova.
Premetto che personalmente mi sento molto più vicino alla «Repubblica dei filosofi» platonica, benché utopistica, che, poniamo, alle tristi «convergenze parallele» di un Aldo Moro o alla logica da supermarket delle opinioni talora esibita da Forza Italia. Credo che alla base di ogni politica vincente, qui e ora, ci siano le parole eterne pronunciate una volta per tutte da quei giganti del pensiero sulle cui spalle - per dirla con il grande Bernardo di Chartres - noi moderni saliamo come nani alla ricerca di una visuale più ampia. Il guaio è quando noi nanerottoli rinunciamo ad arrampicarci, limitandoci a girovagare tra i piedi dei giganti e limitandoci a una prospettiva ad alzo zero. Il destino è quello di essere ignorati o derisi o, peggio, schiacciati. Comunque considerati inutili. Lascio ad ognuno la libertà di applicare l'allegoria alla situazione locale, nazionale, internazionale.
Tornando a Platone, nella «Repubblica» egli si chiede a un certo punto se per la città esista un male peggiore di quello che la smembra, rendendola spezzettata anziché unita; se non sia per lei causa di dissoluzione il particolarismo dei sentimenti, per cui una stessa vicenda cittadina getta nella disperazione alcuni e riempie di gioia sfrenata gli altri. E conclude dicendo che la città meglio amministrata è quella in cui moltissime persone dicono «è mio» o «non è mio» riguardo alla stessa cosa e nello stesso senso, proprio come succede al corpo umano, che soffre nella sua interezza se un dito è schiacciato, senza che qualche membro ne goda per conto suo.
Una città, un intero Paese, declina e muore senza progetti. Non nel senso logoro e autoreferenziale di certa progettualità riformistica da catena di montaggio di cui sono specialisti i progressisti, ma nel significato nobile del latino pro-iectum: prendere una memoria e «lanciarla avanti» nel futuro, dandole nuova direzione e nuovo senso. Si tratta di un volo alto che sta agli antipodi della bassa politica da cucina di cui si accontentano non dirò i professionisti, ma alquanti mestieranti dediti al conteggio delle tessere o a sgambettarsi a vicenda piuttosto che a concepire progetti alti e coraggiosi. O anche minimi, purché coinvolgenti e diretti sempre verso l'unica direzione del giusto, del vero, del bello: ciò di cui la grande maggioranza degli onesti possa dire senza ombra di dubbio «è mio».
Certo, per realizzare il miracolo occorre un'eroica rinuncia agli egoismi e alle meschine nicchie di potere, cominciando ad operare sin dalla politica locale una disinteressata scelta dei migliori, in ogni campo, cui delegare interamente il compito di proporre, creare, forgiare. Sotto questo profilo, sono già emerse due magnifiche M: quelle di Musso e di Maifredi. Considerarli «carte di riserva» sarebbe il peggior errore possibile. Organizzare coordinamenti, assemblee o simili tra esponenti delle varie anime del centrodestra sarebbe tempo perso, bacino di chiacchiere in puro stile «democratico».

Propongo invece, in forma ben più consona alla mentalità conservatrice, la rapida formazione di un «gruppo di eccellenza» costituito, area per area, dai migliori e più agguerriti ingegni disponibili, a prescindere dalla gens d'appartenenza e dalle protezioni altolocate. Potrebbe essere il motore di una riconquista civile e culturale di questa sonnolenta città.
Con viva cordialità.

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