Ha solo la quinta elementare e ha iniziato a lavorare a dodici anni lucidando posate nel suo paese di nascita, Lumezzane, nel Bresciano. Ed ha sempre lavorato a testa bassa al punto da ammettere che a vent'anni non era nemmeno in grado di leggere e scrivere. Ma Giuseppe Saleri è un imprenditore decisamente innovativo: è convinto che il profitto debba essere dell'azienda e non del titolare, che chi lavora in nero abbia il fiato corto e chi delocalizza all'estero lo faccia in quanto si ritrova tra le mani un'azienda obsoleta. Ed ha attuato con coraggio il modello di corporate governance che separa rigorosamente gli interessi e le scelte della proprietà dagli interessi e dalle scelte dell'azienda. La gestione della Sabaf, tra i primi produttori mondiali di componenti per apparecchi domestici per la cottura a gas e quotata in Borsa dal 1998, è affidata al management mentre la famiglia Saleri, azionista di riferimento, non ricopre incarichi operativi in azienda e si è impegnata a non ricoprirne nemmeno in futuro. Spiega Giuseppe Saleri: «Un manager che non funziona può essere cambiato. Ma come fai a cambiare un figlio?».
Corporatura massiccia, accanito fumatore, ex appassionato della caccia di alta montagna, quella a pernici bianche, camosci, cervi, Giuseppe Saleri è del 1931. È presidente della Sabaf, abita a Lumezzane, è nonno di cinque nipoti, non ha barche e in vacanza va in affitto a Bormio. Insomma, ha i piedi ben saldi per terra. Ma, avendo il lavoro nel sangue, ogni mattina percorre in auto i trenta chilometri che lo separano dalla nuova sede dell'azienda, ad Ospitaletto, entra in fabbrica alle 8,30, mangia alla mensa con i dipendenti, lascia lo stabilimento alle 17. E confida che il sabato e la domenica, quando deve starsene a casa, si annoia.
Col lavoro inizia quando ha ancora i pantaloni corti. È il 1943, i tempi sono difficili. «Eravamo bambini senza pane», ricorda. Nonno contadino e papà attrezzista nel senso che metteva a punto gli impianti, il giovane Giuseppe comincia a lucidare a 12 anni le posate in alluminio prodotte in un'officina di Lumezzane. Lucidare non con l'olio di gomito ma con macchine apposite. Racconta: «Mi ero messo in società con alcune persone, società di fatto, sulla parola». E con i fratelli nascosti dopo l'8 settembre, quel lavoro si rivela decisivo nel portare il pane a casa. Nel dopoguerra Giuseppe riesce a scambiare un paio di quelle macchine lucidatrici con qualche vecchio tornio. Ed è il padre, Battista, che gli insegna il mestiere: un'azienda gli dà lo stampato fuso e lui fa la tornitura. Lumezzane è il paese in cui nel dopoguerra tutti gli abitanti diventeranno imprenditori e ogni casa avrà un tornio: chi fabbricherà posate, chi pentole, chi rubinetti. Giuseppe si indirizza sui rubinetti per l'acqua. All'inizio rubinetti molto semplici, tipo quelli usati nelle macchinette che i contadini si mettevano sulle spalle ed utilizzavano per le viti. E nel 1948 fonda con il padre Battista la Sabaf che vuol dire «Saleri Battista e figli». E cioè non solo Giuseppe ma anche i fratelli Achille, 1920, Teodosio, 1925, Bortolo, 1927, i quali si erano dedicati in un primo tempo al commercio: trasportavano nel Sud prodotti di Lumezzane e facevano il viaggio di ritorno carichi di materiale bellico recuperato che poi vendevano nella zona. Col tempo entrerà nella Sabaf anche il più giovane dei fratelli, Patrizio, 1935, mentre l'unica sorella, Bice, si occuperà della casa cercando di fare rigare diritti tutti quegli uomini.
L'azienda si sviluppa discretamente con Achille che è un meccanico nato, Bortolo che segue l'amministrazione e Giuseppe che si occupa delle vendite. Fino a quando c'è il grosso intoppo a metà degli anni Cinquanta con il blocco del canale di Suez: la Sabaf, che ha una trentina di dipendenti e vende la maggior parte dei rubinetti in Egitto, si trova di colpo con l'affanno. Va così in crisi. E dal momento che in quegli anni si sviluppano le prime cucine a gas, si converte di colpo nella rubinetteria a gas. Specializzandosi in questo settore fino a diventare la numero uno al mondo con una gamma completa di componenti per apparecchi per la cottura a gas: rubinetti e termostati, semplici o con dispositivi di sicurezza, bruciatori e accessori. All'anno sono prodotti venti milioni di rubinetti in ottone, ora sostituito con l'alluminio più leggero e meno costoso. Ma per arrivare a quel traguardo, dice Saleri, «abbiamo curato con attenzione la ricerca».
I fratelli Saleri mettono in piedi una filiera produttiva completa, dalla fonderia alla smaltatura. E realizzano un'attrezzeria, cioè un settore in cui la Sabaf si costruisce in proprio i macchinari che servono in quanto nessuno glieli realizza. «Una necessità», spiega Saleri. In questo modo l'azienda «controlla totalmente i processi produttivi anche nelle fasi a più alto valore aggiunto». Insomma, l'attrezzeria si trasforma in un vantaggio competitivo non da poco. Un esempio delle capacità progettuali dei tecnici Sabaf, una quarantina di persone, è rappresentato dai «transfer» a quindici divisioni, macchinari alimentati da robot che riconoscono a vista i singoli pezzi destinandoli a ventinove unità diverse di lavorazione dove si effettuano 290 operazioni ogni minuto. E ancora più significative sono le performance delle isole di lavoro complesse che realizzano il montaggio e verificano la qualità dei prodotti: 46 stazioni sono impegnate tutte insieme, effettuando in totale 920 operazioni al minuto.
Nonostante la crescita dell'azienda, tra i fratelli non sono sempre rose e fiori. Anzi, i contrasti sono forti. Poi qualcuno muore, qualcuno si ritira, ma anche con l'ingresso in azienda della nuova generazione affiorano divergenze di strategie. E la Sabaf si muove a singhiozzo. Fino a quando la soluzione giusta sembra essere quella di porre l'azienda ad un'asta competitiva. È il 1993 e la Sabaf finisce a Giuseppe Saleri il quale cerca di mettere a frutto quelle che definisce «le tante peripezie che ho passato». Sposato con Lina Cerlini, Saleri ha tre figli: Cinzia, 1961, Gianbattista, 1963, Ettore, 1973. E vive nel terrore che possano non andare d'accordo in quanto, dice, «si finisce per litigare quando ci sono di mezzo i soldi». Ma nello stesso tempo si convince della bontà di un modello di management innovativo. «Meglio che le aziende siano dirette da chi le sappia fare girare», sostiene. E si affida a consulenti. Approda così nel 1998 in Borsa, segmento Star, separando nettamente la proprietà dalla gestione. L'azienda è affidata ad un manager, Angelo Bettinzoli, un tecnico di casa alla Sabaf essendo in azienda da più di trent'anni. La famiglia Saleri, che ha il 54% del capitale Sabaf detenuto attraverso una Sapa, non ricopre in azienda incarichi operativi. E non li ricoprirà nemmeno in futuro. Ma è presente nel consiglio d'amministrazione in cui ci sono sei consiglieri indipendenti, è informata di tutto quel che avviene e può dire di sì o di no. «Funziona», commenta Saleri. Oggi Cinzia vive in Franciacorta, Gianbattista sta a Boveno e segue le attività immobiliari e borsistiche della famiglia, Ettore abita a Villa Calcina ed ha un'enoteca.
La Sabaf, che dal 2002 ha concentrato l'attività nel nuovo stabilimento di Ospitaletto dopo avere acquisito nel 2000 la Faringosi-Hinges di Bareggio, tra i primi produttori di cerniere per forni e lavastoviglie, ha 600 dipendenti, un fatturato di 121 milioni di euro realizzati per il 55% con l'export, sta aprendo uno stabilimento in Brasile, a San Paolo, e un altro ha in mente di realizzarlo in Messico quale trampolino per gli Stati Uniti, dispone da anni di un ufficio a Shanghai ma niente di più in quanto, dice Saleri, «non mi piace andare in quel Paese».
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