L’incognita dell’atomica islamica 007 divisi sui progressi iraniani

Stati Uniti riluttanti a usare la forza: troppe installazioni segrete. Il Mossad: la bomba pronta entro un anno

Sono a un passo dall’atomica, come sostengono gli israeliani, a tre anni dai primi risultati, come dicono gli americani, o ancora molto lontani, come sostengono gli esperti dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica dopo aver visto lo stato di abbandono dei laboratori di Natanz? L’incognita sullo sviluppo dei progetti nucleari iraniani divide l’intelligence internazionale e rende difficile valutarne l’effettiva pericolosità. Tutto dipende dai calcoli sull’efficienza del progetto e sulla capacità dei suoi scienziati di assemblare un numero di centrifughe capaci di separare le particelle fissili dell’uranio fino a una purezza pari al 90 per cento. A quel livello servono dai 15 ai 21 chili di uranio arricchito per assemblare una singola testata.
I calcoli americani si basano sulle analisi di David Albright, un ex ispettore dell’Onu oggi presidente dell’Istituto per la scienza e la sicurezza internazionale. Albright concorda sul fatto che le prime centrifughe furono acquistate sul mercato clandestino utilizzando i contatti con l’entourage di Abdul Qadeer Khan, padre della bomba atomica pachistana. Tra il ’93 e il ’95 l’Iran acquistò i componenti per almeno 500 centrifughe del tipo P1, e tra il ’97 e il 2002 mise in attività gruppi di 20 centrifughe in cui sperimentare l’arricchimento dell’esafluoruro di uranio. Le centrifughe vennero poi trasferite a Natanz, dove cominciò a funzionare il primo stabilimento pilota con circa mille macchinari. Nel 2003 - quando gli iraniani decisero di sospendere gli esperimenti - si bloccò, secondo Albright, anche il progetto per lo sviluppo di un laboratorio con 50mila turbine di un tipo P2 assai più veloci ed efficaci.
Per Albright la ripresa della ricerca punta soprattutto a sviluppare la produzione delle centrifughe P2, assemblandole in gruppi capaci di produrre uranio arricchito a cascata. Mettendone in funzione tra le 1.300 e le 1.600 l’Iran - sostiene Albright - «potrebbe avere la prima atomica nel 2009». A quel punto gli iraniani devono comunque miniaturizzarla e trasformarla in una testata missilistica.
Le previsioni di Israele sono molto più allarmanti. Secondo il Mossad, Natanz è solo uno specchietto per le allodole, e gran parte dei lavori di arricchimento prosegue in una serie di siti militari segreti, da cui entro la fine dell’anno potrebbe uscire la prima testata nucleare.
Gli Stati Uniti, proprio citando la difficoltà di colpire queste installazioni sotterranee disseminate tra Isfahan, Natanz i dintorni di Teheran e le pendici dei monti Albroz, sostengono di non voler neppure prendere in considerazione l’ipotesi di un’azione armata. Gli Israeliani, che nel 2003 su ordine di Sharon hanno affidato al Mossad il dossier sulla questione nucleare iraniana, ripetono di avere la capacità di colpire. Ma il fatto che il dossier iraniano sia nelle mani di Meir Dagan, un capo del Mossad amante delle missioni clandestine, fa sospettare che i servizi segreti siano già andati a bersaglio. Due deputati iraniani, intervenendo al Majlees dopo la caduta di un jet con a bordo il generale Ahmed Kazemi, capo delle forze di terra dei pasdaran e altri dieci alti ufficiali, hanno parlato apertamente di sabotaggio.

Visto che Ajhmed Kazemi, il comandante delle operazioni Said Solemani, il comandante dell’artiglieria Gholem Reza Yazdani e Hanif Montazer Qaem, capo dei servizi informativi dei pasdaran, guidavano lo sviluppo dei missili Shahab 3 e 4 destinati al trasporto di testate nucleari, l’accusa dei due deputati iraniani è qualcosa di più di una semplice ipotesi.

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