L’INDUSTRIALE LINO SICLARI

La settimana scorsa il sequestro e le intimidazioni a François Pinault e ai manager di Caterpillar, in Francia, frutto dell’esasperazione dei dipendenti coinvolti dalla crisi. Ieri i manichini impiccati: questa volta l’episodio è italiano. Sta montando l’intolleranza? E tra i manager, cresce la paura?
«Sono episodi estremi, denotano la mancanza di comunicazione tra i manager e i dipendenti» risponde Lino Siclari, presidente e amministratore delegato di Aicon, cantiere messinese di yacth di lusso quotato alla Borsa di Milano. «Contano anche le dimensioni: quando un’azienda è molto grande, multinazionale, tante decisioni vengono prese molto lontano dai lavoratori, in maniera astratta, e questo può alimentare del risentimento».
Che cosa devono fare il manager o l’imprenditore?
«Il difetto di tanti imprenditori è di delegare ai propri dirigenti le scelte più aspre, quasi volessero distaccarsene. Invece, soprattutto nei momenti difficili, l’imprenditore deve assumersi le responsabilità: i dipendenti sanno apprezzare la chiarezza, la trasparenza. È giusto che uno ci metta la propria faccia. Soprattutto quando, come ora, la crisi non è dovuta a scelte aziendali sbagliate, ma viene da lontano e si è abbattuta anche su aziende sane».
Ma i manager, oggi, secondo lei hanno paura?
«Sì. Ma non solo delle reazioni dei lavoratori. Hanno paura delle scelte che devono fare, perché da quelle scelte, in questo momento di crisi, può dipendere la stessa sopravvivenza dell’azienda. Nessuno vuole licenziare: perché sa che, se l’economia riparte, la manodopera dev’essere pronta a rientrare, altrimenti addio!».
Crede che sia diversa la posizione tra il dirigente di un’azienda manifatturiera e il dirigente di una banca?
«Le banche hanno molte più responsabilità, perché la crisi viene dalla finanza, e loro l’hanno cavalcata negli anni scorsi con superprofitti, superstipendi e superbonus».
Vuol dire che i banchieri, che sono esposti anche alla rabbia della clientela, devono avere più paura?
«No, paura no. Credo che debbano riflettere. Potrebbero restituire qualcosa dei loro megastipendi, come hanno dovuto fare i manager di Aig negli Stati Uniti».
Ci sono tanti casi diversi: ci sono manager che hanno incassato milioni di dollari per lasciare un’azienda praticamente fallita (Wagoner della Gm), ci sono finanzieri che hanno truffato i risparmiatori (Madoff), ci sono anche i nostri Tanzi e Cragnotti, che non hanno brillato per onestà in momenti in cui la crisi non c’era nemmeno. Quale dev’essere la responsabilità del manager?
«È una responsabilità sociale, che dev’essere forte e sempre presente. Io sono consapevole che i miei 500 dipendenti diretti, sommati ai 500 indiretti, significano mille famiglie, quattromila persone. Il fattore umano è essenziale per qualunque decisione. Altro che tagli a tavolino!».
La Aicon è ricorsa ad ammortizzatori sociali?
«Sì, lo abbiamo fatto noi come il 90% delle imprese italiane e mondiali. Questa è una crisi che ci è capitata addosso. Noi abbiamo avuto un crollo degli ordini. Il fatturato 2007 è stato di 120 milioni, quello del 2008 di 80».
E che decisioni avete preso?
«Cassa integrazione per 90 dipendenti, contratti di solidarietà per 350, e tutti i dirigenti si sono autoridotti lo stipendio».
Lei è sereno?
«Sereno e coi nervi saldi.

Perché è nei momenti di crisi che si devono fare le scelte giuste. Quando va bene, sono capaci tutti».
Ci sarà un autunno caldo?
«Spero di no. Il mondo si sta riposizionando sull’economia reale. È da qui che bisogna ripartire per riprendere quota».

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