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L’infelicità dell’emarginazione

L’infelicità dell’emarginazione

Peter Brook, ottant'anni compiuti, è stato a Genova con Sizwe banzi est mort, che insieme a Le costume e Terno Boka, rappresenta la seconda delle tre commedie scritte insieme a John Kani e Winston Ntshona del cosiddetto «teatro delle township». Al Teatro della Tosse è andato in scena questo spettacolo che sa unire la semplicità disarmante propria di tale genere di teatro nato dalla vita e dalla strada all'intensità di grandi temi quali l'animismo e l'islamismo africano, l'analisi delle contraddizioni della società nera, il razzismo e l'apartheid.
Peter Brook, benché ami definirsi «un artigiano del teatro», è un grande e indiscusso regista teatrale del '900, che, dopo aver esplorato il substrato delle più antiche civiltà del mondo, ha concentrato ogni suo sforzo alla disamina del Continente Nero e desidera però oggi rendere attuale la vicenda dolorosamente toccante e struggente vissuta dai protagonisti. «Anche se lo spettacolo è stato scritto a partire dalla situazione del Sudafrica sotto l'apatheid - spiega lo stesso Brook - ora ha un significato internazionale più ampio. Nello spettacolo il personaggio non può muoversi più di 20 miglia dalla campagna verso la città senza un passaporto. Oggi assistiamo ad un fenomeno di migrazione di massa, persone che viaggiano per migliaia di chilometri, nel mondo, stipati in container. Ma la paura cieca di essere fermati per la richiesta di documenti è la stessa». Grandiosa performance dei due attori, Habib Demblélé e Pitcho Wombo Konga, che raccontano con gli occhi prima ancora che con le parole, su un palcoscenico scarno e circondati da una scenografia costituita solo da cartoni, la storia di Sizwe Banzi, sudafricano che decide di lasciare il suo villaggio, moglie e figli alla volta di Elisabeth Town alla disperata ricerca di un'occupazione.
Sizwe non ha documenti in regola e decide di appropriarsi di quelli di un uomo morto, e, a quel punto, è un po' come se morisse lui stesso visto che si trova costretto a cambiare nome.

Una denuncia chiara e forte, la storia di un cammino di dolore che arriva al pubblico, attraverso gli sguardi intensi dei due attori, con una leggerezza davvero irreale grazie alla soffusa comicità ironica e delicata che avvolge tutta la rappresentazione.

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