L’integrazione s’impara a tre anni

DIDATTICA L’assessore Moioli: «I figli di immigrati non sono più una realtà variabile, ma strutturale»

L’integrazione s’impara a tre anni

Immaginate di poter imparare un segreto della tradizione culinaria africana, assaggiando un piatto tipico di quel Paese. Oppure di scoprire che i musulmani hanno un modo tutto loro di far addormentare i bambini la sera, sentendolo dai racconti di una mamma. O di accorgervi che il loro gioco preferito in realtà fa impazzire anche vostro figlio. Immaginate di riuscire a fare tutto questo a scuola. Nelle materne, per la precisione, dove il Comune, in collaborazione con la Fondazione Ismu, la Fondazione Iard e il Consorzio Farsi Prossimo ha promosso durate l’anno scolastico un progetto sul multiculturalismo e l’accoglienza. Quindici gli istituti coinvolti (14 quelli dell’infanzia e una onnicomprensiva, pari a un decimo delle strutture comunali), 2.800 i bambini tra i 3 e i 6 anni con le rispettive famiglie e un costo complessivo di 170mila euro. E ieri la presentazione dei risultati delle attività che hanno riscosso un alto gradimento tra i genitori.
«L’anno prossimo con gli stessi soldi conto di estenderlo a trenta scuole - promette l’assessore alle Politiche sociali Mariolina Moioli -. La presenza di immigrati nelle scuole di Milano ormai non è una variabile temporale, ma un modo di essere strutturale, costitutivo». Un dato di normalità insomma con il quale ci si deve confrontare per impostare qualsiasi percorso educativo e didattico. Diversamente non si può fare.
In quest’ottica il progetto «360 gradi di accoglienza in una scuola che cambia» punta a costruire competenze all’interno degli istituti per facilitare l’incontro fra culture diverse e mettere le basi per l’integrazione fra bambini, famiglie ed educatrici. «L’obiettivo - continua l’assessore - è valutare questa esperienza, il coinvolgimento di chi l’ha fatta per trasferirla poi ad altre strutture. Depositare nel personale insegnanti e nei genitori delle competenze che diventino un patrimonio educativo per le scuole». E perché no, magari potrebbero essere anche gli stessi genitori un prossimo anno a diventare formatori per le altre famiglie, raccontando in prima persona come è stata la loro esperienza. Fatta di scambio, di dialogo, di condivisione delle problematiche che si possono incontrare in un Paese straniero. Di confronto su usanze, lingue, costumi, letteratura differenti dai propri. Di ascolto dei bambini e dei loro bisogni per approfondire e individuare le strategie didattiche più efficaci per l’accoglienza e per l’apprendimento linguistico.

Laboratori di quotidianità e di culture diverse.
Ma tutto questo vale anche per i figli di clandestini? «I bambini sono bambini - conclude l’assessore Mariolina Moioli -. E se vanno a scuola usufruiscono del progetto».

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