Roberto Mancini fa 100 con l’Inter. In attesa del giorno consacrato allo scudetto nerazzurro e di un altro luccicante record da festeggiare (100 punti in classifica) è il caso di guardare dentro questo numero a tre cifre. L’Inter di oggi non gioca più come l’Inter dei primi due anni del suo mandato. Quelle due squadre provarono a riannodare il filo del gioco con il risultato senza ottenere il becco di una soddisfazione: due coppe Italia brillano in bacheca, scudetto e Champions league scandirono altrettante delusioni. Il tecnico di Jesi prese nota con diligenza e cambiò registro.
Dall’ultima estate, dopo la correzione effettuata col ricco calcio-mercato, la sua Inter cambiò pelle. E divenne, al culmine degli arrivi di Ibrahimovic e Vieira, di Crespo e Maicon, di Maxwell e Dacourt, un’armata calcistica, tutta basata su forza fisica e singole giocate relegando in un angolino di Appiano Gentile la voglia di calcio spettacolare. L’Inter dei nostri giorni, insuperabile nel campionato domestico, immatura sul fronte della coppa Campioni, riesce a divertire e a collezionare successi, uno dopo l’altro, con una facilità imbarazzante. E non solo perché la concorrenza è di modesto spessore. È un altro calcio, d’accordo, diverso da quello geometrico impostato all’inizio del ciclo ma egualmente redditizio. Che tiene conto dello straordinario talento di Ibrahimovic cui affida l’incarico di produrre gioco, inventare soluzioni, mentre sulle piste laterali può liberare risorse inattese, come quelle rappresentate da Maicon e Maxwell, il vero erede di Roberto Carlos, sacrificato ai tempi per amore di bilancio, su suggerimento di Hodgson.
Uno squadrone del genere, con le sue luci abbaglianti e le sue ombre, è merito del mercato ma anche l’esito del lavoro di Roberto Mancini. A cui possiamo attribuire col voto massimo, i 100 successi di ieri, anche la lode.
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