L’Inter del «Migliore» all’assalto della coppetta

«Non mi offendo se Moratti sonda altri mister». Sulla Coppa: «Piuttosto che niente, meglio vincerla»

Riccardo Signori

nostro inviato ad Appiano

Per una sera Milano torna a respirare l’aria pura. Aria pura del pallone. Non c’entra lo smog. Novanta minuti per spazzare il puzzo che, in questi giorni, invade tutta Italia. Bisognerà aggrapparsi alla coppetta di consolazione, perchè a Parigi saranno altre a giocarsi la finale di Champions league. Si riparte da un 1-1, risultato che mette l’Inter qualche metro avanti e la Roma con l’affanno della rincorsa. Ma forse è solo un’impressione. Dopo aver sfiorato il record di buchi nell’acqua, l’Inter più della Roma avrà il fiato corto, attanagliata dal timore di non rimediare nemmeno l’unica, che era l’ultima in ordine di preferenza, meta della sua stagione.
Ieri Mancini si è prodotto nel mea culpa che, da qualche tempo, accompagna le sue esternazioni. Di tanto in tanto sembrano chiacchiere che anticipano un addio. All’Inter non si sa mai. Ora che Capello è tornato in semilibertà, non c’è da fidarsi (per il tecnico). Mancini l’ha messa sulla battuta. Ma non troppo. «Cercare un altro allenatore? Può essere vero, non mi offendo, anche se è difficile trovarne uno meglio di me». Meglio che voleva dire migliore, ma nel suo caso è peggio sbagliare formazione che zoppicare nell’italiano. Se poi sia l’Inter del Migliore, è ancora da dimostrare.
Situazione pesante, ma non tesa. Mancini scherza anche sui battibecchi avuti qualche volta con Capello. «Qualche volta? Direi sempre». Ma non scherza sulla necessità di far fuori la Roma per la seconda volta consecutiva nella finale di coppa Italia. «Vincere serve sempre. Piuttosto che niente, meglio conquistare la coppa Italia». L’anno scorso quella coppetta pareva la prima pietra di un bel cammino. «E questa sarà la terza». Parole sul filo dell’ironia che mostrano imbarazzo. Non servirebbe se la squadra non avesse buttato risultati e occasioni, tanto da permettere al fantasma di Capello di sfarfalleggiare sulla testa dell’allenatore. «Se l’Inter cambia, è normale che cerchi tecnici importanti».
Sta meglio Spalletti che a Milano si giocherà tutta la stagione, ma ha meno imbarazzi nel programmare un futuro più lontano. La Roma ha giocato gran parte dell’annata in emergenza, cosa chiedere di più? Il pallone le propone un gran scoppiettare di emozioni o un dignitoso anonimato. Nel giro di tre giorni: prima Inter e finale di coppa, poi Milan per giocarsi l’ultimo soffio di speranza che porta al quarto posto e alla Champions. «Sono trasferte fondamentali», ha confermato il tecnico. Ci proverà con Totti e con tutti quelli che gli sono rimasti, viste squalifiche e malati. Forse non subito. «All’inizio o in corsa, comunque sarà della partita. Però bisogna stare attenti, ci sono considerazioni da fare». Una coppetta non vale un mondiale, Totti e Spalletti penseranno anche a questo. Forse gli stessi pensieri che attraverseranno la testa non proprio da Einstein di Adriano: potrebbe essere la sua ultima partita nell’Inter. Sempre che giochi. Mancini garantisce. Ma poi aggiunge: «Salvo imprevisti dell’ultimo minuto». Cose già viste e accadute: Adriano sta diventando imprevedibile più per la gente sua che per gli avversari. Questa sarà l’ultima chance per farsi perdonare qualcosa. E magari dirsi addio senza rancore. L’anno passato furono decisivi i gol del brasiliano. Quest’anno c’è Cruz, che interpreta meglio la parte.
Ma il pallone ci ha abituati a colpi di scena e copioni da romanzone rosa. Un gol di Totti al rientro, uno di Adriano che se ne va: cosa di meglio per immaginare che il calcio sia questo e non quello raccontato nelle intercettazioni? Stasera ci sarà bisogno di ritrovare sensazioni.

E qualche gol, magari nelle statistiche: Mancini (tre successi) potrebbe pareggiare Eriksson (quattro) come tecnico plurivittorioso in coppa Italia, conquistare per la decima volta (tra calciatore e allenatore) questa coppa ed essere il primo a giocare e vincere tre finali di fila. A modo suo imbattibile. Nella coppa che non conta.

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