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L’Inter non li spaventa: i tedeschi temono Mou

Il grande ex Breitner: «Ignoreremo le sue provocazioni...» E Van Gaal: «Io voglio vincere col gioco, José solo vincere»

L’Inter non li spaventa: i tedeschi temono Mou

nostro inviato a Madrid

Alla 18ª domanda su Josè Mourinho persino l’algido addetto stampa del Bayern ha perso la pazienza e ha dettato al microfono nel suo tedesco deciso e asciutto: «Questa è l’ultima domanda su Mourinho a cui rispondiamo». Meglio non insistere hanno pensato in platea. Non ne può più il Bayern di Josè Mourinho e del martellamento mediatico da lui esercitato sul placido clima di una finale finita nel retrobottega dell’interesse collettivo. E se Robben, l’attaccante tedesco, riciclato in Baviera (26 centri) dopo la delusione patita a Madrid col Real specializzato nel deprimere i campionissimi (vi dice qualcosa il nome di Kakà?, ndr), ha scavato una differenza stilistica tra il portoghese che monopolizza la scena e l’olandesone che insegna calcio in Baviera, Paul Breitner s’è rivelato a sorpresa un autentico ciclone. Dev’essere stato merito della divisa del club tedesco indossata pur senza avere alcun specifico incarico nel club, dev’essere stato il ritorno a Madrid («la mia seconda casa»): certo è che il barbuto esponente di una generazione di fenomeni (Germania dei primi anni Settanta: lui, Muller, Beckenbauer, Maier), stretto in una camiciola bianca con cravatta rossa, ha preso a staffilate la sagoma di Mourinho.

«Qui si manca di rispetto alla finale di Champions e ai giocatori delle due squadre se continuiamo a discutere soltanto di Mourinho» è una parte del suo sfogo, raccolta da telecamere e microfoni. È diventata la meno virulenta rispetto alla seconda ondata che ha preso a montare appena si sono spente le luci e hanno staccato gli spinotti dei microfoni nella sala convegni della torre sede dell’albergo in fondo al paseo della Castellana. «Non mi sarei mai immaginato di ritrovare l’Inter in finale: la squadra che ha praticato il calcio migliore è stata il Barcellona» l’affondo di Breitner esposto in modo brillante, con triplice traduzione simultanea (tedesco, inglese e castellano) a conferma della sua carriera di giramondo. «Da un mese e mezzo a questa parte il Bayern è un’altra squadra rispetto al balbettio dei primi tempi, ha compiuto progressi inaspettati sul piano del gioco e dello spettacolo, perciò la considero favorita numero uno di sabato notte» l’altra stoccata che non è rimasta isolata. Perché arrivata in compagnia di un altro pronostico secco come una frustata destinata al calcio italiano, coinvolto in caso di successo tedesco (perderebbe la quarta squadra per la Champions tra due anni). «State tranquilli: vinceremo noi e gli italiani perderanno un posto» il pronostico da “ganassa” dopo due ore di chiacchiere amabili con giornalisti di ogni nazione, brasiliani, spagnoli, italiani, inglesi.

Per fortuna l’argomento arbitro, sventolato da Van Gaal nei giorni precedenti, è toccato in dote a Robben, che è persona educata e misurata, e perciò se l’è cavata con un giudizio dolcissimo, «è all’altezza del compito», spalmando unguento sulla ferita aperta da Breitner intervenuto per chiudere le ostilità con il seguente ammonimento: «Non risponderemo a nessuna delle provocazioni del signor Mourinho». Meno male! Di sicuro l’unico antidoto al virus Mou che ha preso a circolare qui a Madrid come a Milano, stregando, ammaliando, ossessionando, è rappresentato da quell’omone di Louis Van Gaal che in Baviera è diventato una specie di icona. E non solo perché ha regalato in poche settimane la Bundesliga e la coppa nazionale oltre alla finalissima di Madrid, un miracolo se raffrontato con i tormenti e i ritardi d’inizio stagione.

Da allora è stato un inseguimento unico, alla testa della classifica e alla finale di Madrid, rimontando la Fiorentina a Firenze e il Manchester nella sua cattedrale dell’Old Trafford. Solo lui, Van Gaal, con quel vocione da baritono e la sua idea di calcio d’attacco, è immune dal virus Mourinho.

Lo ha avuto al suo fianco a Barcellona come traduttore, ne conosce difetti e pregi, idee calcistiche e tic. «Io voglio vincere attraverso il gioco, Josè vuole solo vincere» è la differenza scavata dall’olandese che sembra diventato l’unica trincea scavata dinanzi al ciclone interista.

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