L’intervento Aria di rivincita sui diktat delle toghe

Non vi è dubbio che l’attuale disegno di legge sul testamento biologico in discussione alla Camera assuma il carattere di una rivincita del potere legislativo nei confronti di quello giudiziario. Ricordiamolo brevemente: essa nasce dalla ben nota e triste vicenda di Eluana Englaro. È una sentenza che ha autorizzato la sospensione della nutrizione e respirazione artificiali, pur in assenza di una legge dello Stato che consentisse una decisione del genere.
Ora, se il disegno di legge con gli ultimi emendamenti verrà approvato dalla Camera (e i numeri per farlo ci sono), dopo un veloce passaggio al Senato, la legge verrà approvata e con essa diventerà illegale proprio quanto i giudici, dopo una vicenda processuale peraltro infinita, avevano considerato lecito. Ma se nell’immediato il vantaggio acquisito sarà sicuro, prima o poi i nodi verranno al pettine e anche ammesso (ma non concesso) che un eventuale referendum confermi la legge ci penseranno i giudici a smontarla, come stanno già facendo con la legge sulla fecondazione assistita.
I nodi della nuova legge sulle dichiarazioni anticipate sono molteplici, qui intendo soffermarmi solo su quello decisivo, vale a dire la possibilità di considerare oggetto di dichiarazione anticipata l’idratazione e la nutrizione artificiali.
Si può essere di parere contrario e sostenere che una legge dovrebbe garantire, sempre e comunque, a qualsiasi cittadino il diritto di dichiarare le sue volontà in merito. Sarebbe la scelta migliore. La legge dovrebbe autorizzare la sospensione del trattamento di nutrizione e idratazione artificiali dal momento che sarebbero comunque trattamenti sanitari.
La legge attualmente in discussione segue tuttavia un altro orientamento e cioè ritiene che il trattamento di alimentazione e di idratazione «nelle diverse forme in cui la scienza e la tecnica possono fornirle al paziente sono forme di sostegno vitale, fisiologicamente finalizzate ad alleviare le sofferenze fino alla fine della vita». Ne deriva che esse per la legge non possono essere oggetto di dichiarazione anticipata. Il divieto è inderogabile, ma un emendamento approvato in sede referente oltre ad avere modificato il testo ha aggiunto: «A eccezione del caso in cui le medesime risultino non più efficaci nel fornire al paziente i fattori nutrizionali necessari alle funzioni fisiologiche essenziali del corpo». Si potrebbe dire, meglio di niente. È infatti previsto almeno un caso che fa eccezione alla regola generale. Già, ma a chi spetta stabilire quando siamo di fronte alla regola e quando invece va applicata l’eccezione? L’unica persona competente per farlo sembrerebbe il medico, il quale tuttavia, per così dire, ha le mani legate dal momento che la legge fa esplicito riferimento al «divieto di qualunque forma di eutanasia» e non si può nascondere che di «eutanasia passiva» si tratterebbe se, in casi sia pure eccezionali, il medico decidesse di sospendere il trattamento.
Beninteso, l’emendamento mostra la volontà politica di intervenire sul punto più delicato, ma lo fa in modo inadeguato. Eppure un modo per sciogliere il nodo forse c’è ed è del tutto compatibile con l’impianto della legge. Si potrebbe riformulare l’emendamento nel modo seguente: «La nutrizione e l’idratazione artificiali possono essere sospesi solo quando - sulla base di un parere espresso da una commissione istituita ad hoc composta da un neurologo, un anestesista rianimatore e un bioetico, sentiti il medico curante e il medico specialista della patologia - la loro prosecuzione si configuri come una forma di trattamento sproporzionato». Anche ammesso che idratazione e nutrizione di per sé non siano interventi di carattere straordinario, si dovrà pur riconoscere che essi in certi casi col passare del tempo possano diventarlo. Non è possibile determinare in astratto se idratazione e nutrizione siano trattamenti proporzionati o meno. Nel caso dello stato vegetativo sappiamo che ci vuole molto tempo per stabilire con una certa sicurezza se quello stato è permanente.

Una volta accertata tale permanenza anche la mera prosecuzione del trattamento di sostegno vitale potrebbe essere ritenuto sproporzionato. In quel caso sarebbe lecito sospenderlo.
*Docente di Filosofia del diritto

all’Università degli Studi di Genova

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