Gentile direttore,
qualche giorno fa il presidente della Camera, Gianfranco Fini, ha riunito a colazione Pier Ferdinando Casini e Giuseppe Pisanu. Nulla è trapelato da questo incontro conviviale. Immagino tuttavia che si sia parlato dei temi politici allordine del giorno, alla vigilia di una delicata campagna elettorale.
Intendiamoci, non mi passa neppure dalla mente di intravedere dietro questo pranzo chissà quali trame o disegni politici ai danni di questo governo o del presidente del Consiglio.
Quello di cui sono certo, piuttosto, è che tutti e tre i partecipanti alla colazione di lavoro condividono una stessa concezione della politica maturata nei partiti popolari che, dal dopoguerra fino alla caduta del Muro di Berlino, hanno avuto un ruolo nella vita politica italiana, sia che fossero al governo che allopposizione, sia che militassero in una sfera del mondo diviso in blocchi che in quella opposta.
Si tratta di una visione della politica che si fonda ancora sulle grandi narrazioni ideologiche del Novecento.
Il compromesso storico, di cui furono protagonisti Aldo Moro ed Enrico Berlinguer, si fondava su una analisi pessimista della storia e della società italiana e sulla funzione salvifica dei partiti. Per una sorta di eterogenesi dei fini, questa concezione alta della politica si è convertita nel consociativismo e nella partitocrazia che sono allorigine della crisi economica, del dissesto dei conti pubblici e del fenomeno della corruzione nel nostro Paese.
Chi rivendica i meriti, che pure vi sono stati, dei partiti dellarco costituzionale nel progresso della democrazia dal dopoguerra in avanti, tralascia di ricordare le responsabilità degli stessi partiti nella crisi della Prima Repubblica sfociata poi in Tangentopoli.
Rispetto a questa storia, lapparizione di Berlusconi sulla scena politica italiana scompagina tutti gli schemi del passato. Il paradosso, tuttavia, è che, da un lato, Berlusconi salva letteralmente la memoria e gli stessi esponenti dei partiti democratici della Prima Repubblica, mentre, dallaltro lato, segna una cesura radicale nella prassi e nella concezione del ruolo della politica e della funzione dello Stato in una moderna democrazia partecipativa.
Solo grazie allo scudo rappresentato da Berlusconi e allapertura di una nuova fase politica di rinnovamento, esponenti di spicco della Democrazia cristiana come Pier Ferdinando Casini e Giuseppe Pisanu possono continuare a svolgere un ruolo di primo piano nella vita politica italiana, mantenendo in vita leredità storica e lo stile politico moderato della tradizione cattolica democratica allinterno di Forza Italia. Così come solo grazie allintuizione originaria di Berlusconi, un leader politico come Gianfranco Fini ha potuto traghettare un partito come il suo, proveniente dal post-fascismo verso un approdo di piena legittimità democratica.
Perché permane allora nella maggior parte degli esponenti della politica tradizionale un residuo di incomprensione e perfino di ostilità, seppure a volte mascherata, nei confronti della politica di Berlusconi? Perché, per fare alcuni esempi, Casini appare così aspro nel giudicare la politica di Berlusconi, mentre per un altro verso Fini non perde occasione per paragonare il Pdl ad una caserma o per mettere in guardia il governo dal rischio di galleggiare, oscurando di fatto i risultati ottenuti dal partito e i meriti acquisiti dal governo?
Io credo che questo atteggiamento derivi da una incapacità di apprezzare le novità positive introdotte da Berlusconi sia sul piano della politica interna, che su quella internazionale. Ma su questo rimando ad un prossimo approfondimento.
*Ministro dei Beni culturali
e coordinatore del Pdl
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