Da anni la crisi rende evidente lincapacità predittiva della teoria economica. Eppure la politica è sempre più dominata dalla tecnocrazia, che si tratti di agenzie di rating o di «esperti» che, pur incapaci di previsione, dispensano ricette per il futuro. Non occorre essere marxista o keynesiano per ammettere che i due capisaldi teorici della teoria economica del mainstream sono alla deriva. Il primo è lasserto secondo cui se il mercato viene lasciato a sé stesso esso va in equilibrio e tutto va a posto. Peccato che nessun risultato teorico lo convalidi.
Quanto alle pratiche concrete, si pensi al fallimento dei modelli matematici che da un trentennio si basano sullidea che i mercati finanziari siano controllabili e sul secondo capisaldo del mainstream: è «razionale» il soggetto economico che conosce perfettamente il funzionamento del sistema e agisce in modo assolutamente egoista, massimizzando il profitto. La versione moderna di questa concezione è la teoria delle «aspettative razionali» che ricava da unidea discutibilissima di razionalità il precetto che farebbe evolvere leconomia in modo determinato. Se i soggetti si comportano «razionalmente» si verificheranno gli eventi economici che essi si aspettano: comportatevi «razionalmente» e la realtà sarà «razionale». Negli anni settanta il celebre modello matematico di Black, Merton e Scholes tradusse tale visione mediante analogie con la meccanica statistica, per descrivere landamento nel tempo di prodotti finanziari. Le ipotesi irrealistiche del modello - per esempio, che le attività finanziarie si spalmano nel tempo per frazioni arbitrariamente piccole di prodotti finanziari - sono state accettate come prescrizioni capaci di controllare il mercato finanziario. Si è fatto credere che bastasse implementare nei computer il modello di Black-Merton-Scholes per realizzare il sogno di uneconomia «razionale». Mezzo mondo finanziario ha operato in tal modo.
Nel 1998, il crack della finanziaria Long Term Capital Management era loccasione per convincersi che il mondo è fatto da uomini che non sono robot, che non esiste una legge meccanica che porta allequilibrio del mercato, che il primato nel governo della società e delleconomia è della politica e non della tecnocrazia e della sua pseudoscienza. Nessuno se nè dato per inteso.
Eppure, proprio nel 1998, un protagonista di oggi, che pare si sia arricchito sul declassamento delleconomia statunitense da parte di Standard & Poors, George Soros, di fronte al Congresso USA, invitò a «riconoscere che i mercati finanziari sono intrinsecamente instabili» e che «la convinzione che i mercati finanziari lasciati a sé stessi, con i loro strumenti, tendono verso lequilibrio è falsa». «I mercati finanziari - aggiungeva - sono portati verso gli eccessi e se una successione di rialzi e di ribassi si verifica al di là di un certo limite, non si tornerà mai al punto di partenza. Invece di agire come un pendolo, i mercati finanziari hanno agito come una palla di demolizione, colpendo uneconomia dopo laltra». E ancora: «imporre la disciplina del mercato significa imporre linstabilità e quanta instabilità può essere tollerata dalla società? La disciplina del mercato deve essere integrata con unaltra disciplina: mantenere la stabilità dei mercati deve essere il fine delle politiche pubbliche».
In molti prevale il timore che si torni a ricette socialiste o keynesiane. Si ingannano perché essere liberali non significa - al contrario! - cancellare il ruolo della soggettività o ridurla alla parodia della razionalità come infinita preveggenza e illimitato egoismo. Né è intrinseco al liberalismo concepire leconomia come un sistema fisico governato da leggi cieche che garantirebbero lequilibrio. Questo gretto scientismo, che consegna la politica alla tecnocrazia, è invece consono a visioni totalitarie.
Altri temono (giustamente) che leconomia reale sia schiacciata da uneconomia finanziaria che vale (virtualmente) molto di più e detta legge alla politica economica pretendendo di rappresentare il giudizio «oggettivo» del mercato e che ciò conduca a una crisi della democrazia. La via duscita è, in effetti, la fine del primato delle ideologie tecnocratiche, a ogni livello, soprattutto culturale. La politica deve avvalersi delle autentiche competenze, non subordinarsi ad esse. Altrimenti, la palla di demolizione continuerà nella sua opera implacabile, tra le prediche degli esperti.
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