L’intervento Stragi di mafia omissioni e bugie

Posso sperare di avere una risposta chiara da Oscar Luigi Scalfaro, che nel 1992 votai come capo dello Stato, da Carlo Azeglio Ciampi, a cui diedi la fiducia come presidente del Consiglio e da Nicola Mancino, ministro degli Interni, sul conto del mio partito, la Dc, nei fatidici anni 1993-1994?
I tre personaggi furono protagonisti di un evento eccezionale nella storia d’Italia (assieme ai presidenti di Camera e Senato di allora, Giorgio Napolitano e Giovanni Spadolini) e cioè dello scioglimento di un Parlamento dove nell’aula della Camera, nel gennaio 1994, era stata appena certificata la volontà della maggioranza di continuare la legislatura con il governo Ciampi.
La motivazione fu, stracciando il principio costituzionale della presunzione di non colpevolezza, che non poteva continuare ad operare il cosiddetto «Parlamento degli inquisiti», su cui erano piovuti centinaia di avvisi di garanzia, che oggi sappiamo essere stato il Parlamento dei perseguitati, la stragrande maggioranza dei quali pienamente assolto dopo aver subito il carcere e decenni di calvario giudiziario.
Prima di quella drammatica fine, come giovane deputato Dc, ebbi l’idea di presentare un esposto alla procura di Roma per chiedere che fossero svolte indagini per appurare come fosse possibile che grandi personaggi del calibro di Andreotti, Misasi e Gava fossero presentati dai pentiti non come uomini di Stato ma come volgari delinquenti, compromessi con la malavita organizzata: non c’era la possibilità che viceversa fossero in atto manovre per destabilizzare le istituzioni?
Il testo, scritto da me e D’Onofrio, approvato da Gargani ed Andreotti, corretto sin nelle virgole da Martinazzoli, venne presentato a firma dei due presidenti di gruppo della Dc di Camera e Senato, Bianco e De Rosa.
Dopo l’iniziale clamore mediatico, una volgare stroncatura dell’iniziativa da parte di Rosy Bindi intimidì Martinazzoli che prima negò e poi ammise a denti stretti l’iniziativa che sostanzialmente finì nel nulla. Salvo riemergere qualche mese dopo quando con grande stupore lessi nella relazione semestrale della Dia al Parlamento che la mafia si era talmente infiltrata nei gangli vitali del Paese da convincere i capigruppo Dc a presentare il famoso esposto.
Seguì una mia telefonata all’allora capo della polizia Vincenzo Parisi, che si profuse in scuse, nella quale domandai se non fossero per caso impazziti nel scrivere romanzi di fantascienza che nulla avevano a che fare con la realtà.
La realtà purtroppo era che all’epoca tutta la stampa italiana leggeva gli attentati dinamitardi della mafia come l’ultimo colpo di coda del pentapartito e degli inquisiti aggrappati al potere, che dovevano essere, viceversa, spazzati via senza pietà.
Sin dal gennaio del ’94, infatti, quando Scalfaro mandò tutti a casa su diktat del Pci, c’era già il nome di chi doveva vincere le elezioni politiche, che si chiamava Achille Occhetto, mentre Martinazzoli ironizzava su Berlusconi e la nascente Forza Italia, battezzandola come incapace di eleggere anche un solo deputato.


Ecco allora le parole chiare che mi aspetto come cittadino e come membro del governo in carica da Scalfaro, Ciampi e Mancino: spazzino via le ridicole e offensive allusioni alla possibilità che la storia d’Italia nel 1992-93 sia stata scritta da chi in politica non esisteva e non facciano fare la figura a quelli che allora erano ai vertici dello Stato «di chi non c’era, se c’era dormiva e se dormiva sognava di non esserci».
*Sottosegretario
alle Politiche per la famiglia

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