Qualunque modo la si pensi, oggettivamente il Popolo della Libertà e in generale il Centro-Destra sta attraversando un periodo di forte crisi, acutizzandosi nell'ultimo mese con la defenestrazione di Fini e la nascita dei gruppi parlamentari di Futuro e Libertà.
Un partito ormai diviso (anzi lacerato) tra Berlusconiani e Finiani che fa gongolare di gioia la sinistra.
Evidenziare chi ha torto e chi ragione a questo punto serve solo ad accentuare la polemica e non a riparare al danno fatto, salvo che si ritenga che consegnare il Paese alla sinistra sia meno importante che rinunciare alle «proprie ragioni» e al proprio rancore.
È singolare comunque che alcuni esponenti di Partito fortemente antigiustizialista e con nome «Libertà» nel proprio logo scatenino inquisizione e turpiloquio al primo sentore di «eresia».
La domanda invece che dovremmo porci se il partito unico (o più partiti) debba essere guidato da un pensiero unico. Oppure, stabilito quale è il dettagliato programma di governo e un minimo denominatore unico di valori e idee a cui tutti i «soci» devono Fedeltà, possa esserci sul resto una franca dialettica aperta e una sintesi di posizioni diverse. Anche, e non per ultimo, per dare all'elettorato un'offerta varia e a più ampio respiro. Ricordo che salvo particolari momenti storici un'unica ideologia (oggi si direbbe un unico pensiero allineato) non è mai stata maggioritaria nelle democrazie occidentali e se guardiamo all'estero, la maggior parte dei governi sono frutto di diverse componenti (partiti o correnti), forse con conseguente «gatte da pelare» dei rispettivi capi di coalizione, ma che proprio nella sintesi evidenziano la loro grande capacità. Dire che il Centro-Destra ha governato male dal '94 al 2005 perché c'erano più partiti è un'autodenigrazione che non trova riscontro. Anzi la forza di Berlusconi fu di trovare la sintesi tra Casini e Bossi e tra Fini e Tremonti, facendo fare al paese un grande balzo in avanti a fronte di periodi segnati da terrorismo, guerre internazionale e forti crisi sociali ed economiche.
La forza di un leader è trovare la sintesi tra la libertà di opinione e l'efficienza di governo, rinunciare a una delle due si rischia di perdere entrambe.
Speriamo quindi che nelle ultime tre settimane d'agosto ritorni il buonsenso: trovando una sintesi accettabile tra le diverse parti, abbassando da subito il tono e il linguaggio delle polemiche; altrimenti rischiamo che tra pochi mesi governeranno Di Pietro e Vendola.
In questo momento il pericolo, a Roma come a Genova, sono gli «ultras»: quelli che vogliono apparire più berlusconiani di Berlusconi o più finiani di Fini. Un limpido esempio è stato «l'appello» ben poco politico, ma pieno di livore e offese personali di 29 esponenti locali (metà nominati e metà neppure iscritti al PdL) contro Enrico Musso, a costo di esasperarlo e «consegnarlo» al partito di Fini. In un imbarazzante silenzio-assenso di alcuni dirigenti locali, quasi contenti di perdere in un colpo solo un senatore, il miglior candidato a sindaco ed una delle teste pensanti della nostra città. È stato quindi necessario un intervento in extremis di Gasparri per riportare forse alla ragione chi auspicava un'immediata pulizia etnica nei confronti di Musso e vari altri, rei di non appartenere alla Fondazione «giusta».
Io che, venendo da AN, non posso certo definirmi «scajoliano», mi trovo a rimpiangere l'autorevolezza di Claudio Scajola, la sua forza di mettere ordine e redarguire gli eccessi anche nei confronti dei suoi più stretti collaboratori. Questa è la vera leadership.
Speriamo che volino le colombe e non più i falchi, a Montecitorio come in Liguria; perché, per usare un'iperbole, di solito «dopo i falchi volano solo avvoltoi su distese di cadaveri».
*Consigliere Comunale
e vice coordinatore metropolitano
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