L’INTERVISTA 4 ELSA MARTINELLI

La finezza è per pochi; la volgarità è per tutti gli altri. Ragionano per lo più così produttori, editori, politicanti eccetera. Elsa Martinelli, una delle più note modelle e attrici italiane degli anni Cinquanta-Settanta, dissente. «Audrey Hepburn - mi dice - è stata un punto di riferimento per stile ed eleganza finché, con la Ekberg nella Dolce vita, Fellini reimpose la maggiorata».
La matrice dell’italiana era stata l’Anna Magnani del neorealismo?
«Non necessariamente. I film neorealisti che vincevano l’Oscar uscivano giusto in un cinema di New York».
Quando hanno cominciato a essere distribuiti in America?
«Il primo vero successo italiano è stato I soliti ignoti di Monicelli. E molti anni dopo è venuto Travolti da un insolito destino della Wertmüller».
Allora?
«Per gli stranieri l’immagine della donna italiana è stata a lungo quella della bruna coi baffi. E non era il mio caso, così la mia carriera di modella cominciò a New York, con l’agenzia di Eileen Ford».
E quella d’attrice è cominciata a Hollywood.
«Alta e sottile, parlavo inglese con un accento indefinibile che non era quello americano, così ho avuto parti sì di straniera, ma non di italiana, spagnola o sudamericana. Caso mai di slava, come era capitato alla Garbo e alla Bergman».
Come vede il cinema italiano oggi?
«Il cinema italiano va a cicli. Finito quello di Rizzoli, Ponti, De Laurentiis, Cristaldi, è finito anche quello degli sceneggiatori importanti. Fu grazie alla coalizione di Ennio Flaiano e Mauro Bolognini che ebbi la parte di prostituta nella Notta brava, ispirato a Una vita violenta di Pasolini, che diede loro man forte.

Il produttore non mi voleva per il mio tipo fisico».
L’eleganza non pagava neanche allora?
«Nemmeno Susan Hayward e Brigitte Bardot, Anna Maria Ferrero ed Eleonora Rossi Drago erano maggiorate, eppure avevano successo. Senza essere volgari».

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