L’INTERVISTA 4 IL LEADER DELLA PROTESTA

Era il suo allievo prediletto. Il 17 dicembre il professore Abdouli Touhami ha sentito dello studente che si era dato fuoco e non ha avuto bisogno di sapere altro. Aveva già capito che si trattava di Mohamed Bouazizi, 26 anni, laureato con lui in Lettere nel 2002 con il massimo dei voti all’università di Sousse. Dopo Mohamed sono arrivati gli altri, sono scesi in piazza a protestare, con i cartelli all’americana Yes we can, con la rabbia, e l’odio contro un regime corrotto e tiranno. Il professor Touhami è un idealista che assomiglia a Robert Redford in Leoni per agnelli, parla del futuro della Tunisia, della democrazia e della libertà che arriverà, dei sogni di tutti i suoi ragazzi dell’università. «Sono ottimista. Vedrà che ce la faremo, oggi la Tunisia è pronta per la rivoluzione».
Cosa è cambiato nei giovani, perché proprio oggi si ribellano?
«Perché hanno smesso di avere paura. La rabbia ha iniziato a prevalere sul silenzio e la sopportazione. Hanno iniziato a guardarsi intorno e lo spettacolo è stato desolante. Hanno capito che quella classe politica non avrebbe mai concesso un futuro. E oggi finalmente il futuro se lo sono presi e non torneranno ad abbassare la testa».
Cosa sognano gli studenti tunisini?
«C’è stata una rottura profonda da cui non si può più tornare indietro. Gli studenti vedono i colleghi europei e il paragone è desolante. Internet e gli echi del benessere portato dal turismo fanno il resto. Ora chiedono anche loro una vita migliore».
Dopo la Tunisia l’Egitto. C’è il rischio di un effetto a macchia d’olio?
«Dal primo giorno delle proteste tantissimi egiziani si sono congratulati con noi. Con l’Egitto siamo vicini più che mai. Mi immagino un Maghreb nuovo, sviluppato, socialmente equo. L’Egitto è pronto e lotta insieme a noi».
La Tunisia avrà la forza di cambiare davvero?
«Sì, il nostro Paese è pronto, da anni qui esiste una classe media. La Tunisia non è la Libia dove tutto sarebbe più difficile».
Quando ha capito che le proteste avrebbero cambiato la Tunisia per sempre?
«Quando Mohamed si è dato fuoco, un’ora dopo la gente ha iniziato ad affollare le strade di Sidi Bouzid per protestare. Era chiaro che niente sarebbe più tornato come prima».
Lei dove si trovava?
«Tra i miei ragazzi a protestare. Sono sceso in piazza con loro, ho organizzato e coordinato le manifestazioni. Era la grande occasione, non potevamo farcela scappare. Il nostro futuro è iniziato da quel sacrificio di Mohamed».
È stata la fame a scatenare questi moti di piazza?
«Non la fame quanto la voglia di una società più giusta, più equa, democratica. Mohamed era stanco di doversi scontrare con muri di gomma. Chiedeva il diritto di lavorare, di vendere aranciate per strade. Ma i burocrati hanno fatto di tutto per impedirglielo. E se un venditore di frutta è riuscito a rovesciare il regime di Ben Alì durato più di vent’anni è il sintomo che la società era ormai stanca e non aspettava che un segnale per partire».
Il primo ministro Ghannouchi è stato uno dei fedelissimi di Ben Alì. Come farà ad essere lui l’uomo delle riforme?
«Purtroppo fino ad ora non ha avuto nessun tipo di potere. Tutto era nelle mani di Ben Alì e della famiglia della moglie. Le riforme ci saranno».
Perché è così odiata la famiglia della moglie di Ben Alì?
«Perché il popolo sa che è Leila, l’ex first lady, ad aver rovinato il Paese. In questi anni ha accumulato ricchezza alle spalle dei tunisini, ogni singolo familiare, aveva un ruolo importante nel governo. Chi osava criticare o contraddire lei o qualcuno della sua famiglia finiva in prigione.

Pensi che le macchine presidenziali non avevano la targa, a riprova della totale immunità davanti alla legge».
La Tunisia ora rischia di cadere nelle mani di estremisti islamici?
«No, il terrorismo islamico è un problema dell’Algeria, il nostro è un Paese laico e questo pericolo non esiste».

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