L’INTERVISTA GIORGIO TONINI

RomaPer Giorgio Tonini, senatore veltroniano e membro del coordinamento Pd, è «incredibile» che Giorgio Napolitano, «un presidente che la stragrande maggioranza dei cittadini vede come uno dei pochi punti di riferimento unitari del paese» venga chiamato in causa «addirittura con allusioni alla mafia» com’è successo dal palco dipietrista.
Non è la prima volta che succede, senatore Tonini.
«Già. Sembra che quando Italia dei valori organizza una manifestazione di piazza non riesca a non scivolare nell’attacco indiscriminato alle istituzioni. Antonio Di Pietro sembra non cogliere il confine tra lo scontro politico, che può anche essere duro, e il coinvolgimento di chi, come il capo dello Stato, va lasciato fuori, proprio per la sua natura di garanzia».
Luciano Violante parla di un comportamento «ai limiti dell’eversione».
«La parola “eversione” è ovviamente enfatica, e forse eccessiva. Ma di certo si tratta di episodi gravi. Di un’opposizione che non sa più distinguere tra il legittimo scontro di idee e l’attacco alle istituzioni che sono un bene comune».
Violante denuncia anche un «intreccio allarmante» tra Di Pietro e i suoi corifei e alcuni pm, che alimenta un «populismo giustizialista».
«C’è qualcosa di molto vero in questo. La politica deve rispettare l’autonomia della magistratura. Ma se entra nelle vicende interne all’ordine giudiziario, tifando per questa o quella procura o prendendo le parti di questo o quel magistrato contro il Csm be’, stiamo andando molto al di là dei limiti in cui si dovrebbe rimanere».
Di Pietro è diventato un «compagno di strada imbarazzante» per il Pd, con il quale rompere definitivamente?
«Non capisco cosa si intenda con rompere. Non siamo una coalizione, abbiamo fatto una scelta alla vigilia delle elezioni con l’obiettivo di tenere agganciata una forza che rappresenta una pulsione populista, presente nel centrosinistra, nella speranza di farla maturare in una prospettiva riformista. È evidente che l’aspettativa è andata delusa, ed è stato chiaro dal giorno dopo le elezioni, quando Di Pietro ha scelto di giocare una sua partita, in diretta competizione con la cultura riformista e democratica».
E il Pd che conclusioni ne ha tratto?
«Ne abbiamo preso atto. E da quel momento le nostre strade si sono divise: loro scommettono su un modo di fare opposizione assolutamente diverso dal nostro. E quella di Di Pietro è l’opposizione più congeniale a Berlusconi».
E le posizioni estremistiche dell’Italia dei valori non rischiano di condizionare la vostra linea rispetto a questioni importanti?
«Abbiamo dato prova in tanti passaggi che le nostre posizioni sono frutto di un autonomo dibattito interno. Su temi come la riforma della giustizia ci sono anche contraddizioni e differenze di opinione che ci attraversano, ma che non hanno nulla a che fare col presunto condizionamento di Di Pietro, che non esiste. Abbiamo dimostrato di essere disposti a pagare un prezzo pur di tenere la rotta».
Ad esempio?
«Non ci siamo fatti condizionare dai sondaggi né abbiamo avuto timore di tenere posizioni anche impopolari nell’immediato. Il referendum sul Lodo Alfano, ad esempio, può avere una grande suggestione su parte del nostro popolo.

Ma abbiamo detto no: perché è un autogol, che offre a Berlusconi su un piatto d’argento una facile vittoria elettorale, basta far mancare il quorum e il referendum fallisce. È un’iniziativa di Di Pietro tutta mirata alla competizione con noi, non con il centrodestra. E una grande forza riformista deve saper tenere la rotta su tempi medi, non cedere a illusioni di rivincita immediata».

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