Paola Severini è unesperta. Di onlus. «Sono oltre trentacinque anni che lavoro con loro. Ho visto crescere comunità che oggi sono pilastri del terzo settore. Ho incontrato Muccioli quando iniziò con sette ragazzi. E ho visto anche club di scambisti che si nascondevano sotto il marchio di una onlus. O dirigenti di istituzioni famose che alloggiavano al Danieli per la mostra del cinema di Venezia a spese della Onlus».
Come si fa a distinguere i buoni dai cattivi?
«Le istituzioni più affidabili sono quelle che si muovono direttamente sul campo, quelle a contatto con la realtà locale. Il problema è che in Italia ci sono oltre 230mila onlus. E le mele marce rischiano di danneggiare il lavoro e limpegno degli onesti. Il nostro convegno organizzato in Valle dAosta da oggi al 23 agosto sul Terzo settore cercherà di affrontare anche questo problema».
Cè una soluzione?
«Introdurre una figura come lAuthority con poteri di veto. Lagenzia delle onlus non ha abbastanza poteri per intervenire nelle situazioni poco chiare. Ma non solo. LAuthority dovrebbe poi anche vigilare sui finanziamenti. Non si capisce come mai ogni volta, sono sempre le solite due o tre istituzioni che prendono i beni confiscati ai mafiosi».
E nel frattempo?
«Io personalmente riconosco quelle che valgono anche dallodore. Basta entrare in una comunità e vedere se lambiente è pulito. Quelle cattoliche hanno sempre fatto un ottimo lavoro. Uomini come don Gnocchi e don Calabria hanno fatto la storia. Le loro tracce sono state seguite poi da grandi personaggi come don Gelmini, don Verzè, don Benzi».
Lei come fa a fidarsi quando fa beneficenza?
«Io non mi sono mai fidata del salvadanaio azzurro con la faccia di un bambino africano disegnato sopra che troviamo sul bancone del macellaio o del fornaio. A loro non ho mai dato nemmeno 50 centesimi».
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