L’INTERVISTA L’ESPERTO

Professor Luca Bernardo, a Milano lei coordina il primo ambulatorio nazionale per le vittime del bullismo. Ma nel libro che ha scritto si è concentrato sul bullismo in rosa.
Perché queste ragazzine diventano violente? Vogliono emulare i maschi?
«Il bullismo al femminile esiste da anni: un bullo su sei è femmina. Prima però il fenomeno era più sommerso e la pressione sulla vittima era psicologica».
Ora però vanno alle mani.
«Le ragazzine si sono emancipate, sono diventate aggressive. E quando le ascolti ti dicono che vogliono avere pari diritti e doveri dei bulli maschi. Con le loro azioni tendono a dimostrare che sono delle leader. Hanno bisogno di un palcoscenico: la scuola, il parco, ma anche Internet, così globalizzano i gesti violenti».
Qual è il loro profilo?
«Spesso sono insospettabili. Vanno bene o benino a scuola, sono carine, ammirate dagli stessi compagni».
Dunque sono appagate.
«Apparentemente sì. La bulla però si sente soddisfatta quando tiranneggia la vittima prescelta attraverso pettegolezzi, maldicenze. Con queste mosse riesce a diffondere credibili dicerie sulla vittima. È furba oltre che cattiva».
Quanto incide l’educazione familiare?
«Padre e madre rispecchiano molto i propri figli. Spesso non capiscono né disagi né gli eccessi del figli. Queste ragazze, così come i bulli maschi, dicono: i nostri genitori ci sentono ma non ci ascoltano».
Il bullismo femminile è una moda o un nuovo cancro giovanile?
«Non è una moda. Prenderà sempre più piede. Anzi, aumenterà».
Quali sono i motivi che scatena le ire della bulla?
«L’atteggiamento della vittima. Spesso è una ragazza isolata, che veste in modo diverso, che magari non va bene a scuola».
Qual è il periodo critico?
«Quello della crescita, medie e liceo. Poi si passa alla criminalità. Non a caso queste ragazze finiscono nelle gang giovanili».
Sono peggio le ragazze bulle o i loro colleghi maschi?
«Le femmine sono più cattive perché le azioni sono pensate, ragionate. Esiste un meccanismo di odio e rivalità con le coetanee. Il bullo maschio non odia, per lui aggredire è una manifestazione di potere».


Prevenire si può?
«Sì, ma serve una forte alleanza tra scuola e famiglia che deve smetterla di delegare sul ruolo educazionale. I genitori devono saper dire di no, basta fare gli eterni amiconi dei figli. E bisogna formare gli insegnanti, i bidelli che devono cogliere i segnali di allarme».

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