L’INTERVISTA VALENTINA CORTESE

Valentina Cortese è appena reduce da un noioso malore, dolorosamente iniziato l'estate scorsa dopo una caduta che l'aveva ridotta, dice lei, «non a una larva, ma a un pallido fantasma gotico che avrebbe fatto la delizia di Werner Herzog ai tempi di "Nosferatu". Quel bellissimo film sui vampiri che io, quando lo vidi, battezzai subito Croce e Delizia. Croce perché Nosferatu, come ogni Dracula che si rispetti,si decomponeva come una nuvoletta alla vista del simbolo del Santo Sacrificio. E Delizia alla vista della sua vittima, la splendida Isabelle voglio dire la Huppert, che mi sostituì in extremis. Sa che quel ruolo avrei dovuto farlo io?»
La Cortese è in gran forma. La sua diafana carnagione di camelia rimasta miracolosamente immune dalle ingiurie del tempo si protende maliziosa per il bacio di rito, i suoi occhi da gazzella brillano di pagliuzze d'oro («sì, proprio d'oro», confessa con languore), le sue lunghe dita nervose tracciano nell'aria arabeschi, cerchi fluttuanti, vaghi cenni di saluto o meglio di gioia, dato che ormai passata la buriana si appresta a riposare un poco prima di riprendere (a quanto si dice in giro) a girare come una matta. Non mi dica, Valentina, che presto tornerà alle scene?, la provoco sottovoce. «Perché me lo chiede? Io, il teatro, non l'ho mai lasciato».
Eppure, è da "Maria Stuarda" che il suo pubblico non ha il piacere di ammirarla...
«È vero. In fondo, non ha torto. Da anni, ormai, non entro in scena con lo strascico per uscirne, magari sconfitta ma non doma, vestita da penitente. Ma non è colpa mia, mi creda».
Allora chi è il responsabile?
«La pigrizia dei teatranti. O, peggio ancora, dei registi. Che, all'estero, sono felici di dirigere un'attrice in un bel monologo o in uno splendido poema, mentre da noi...»
Da noi?
«Chissà perché questo non accade. Mentre, soprattutto oggi, coi gravi problemi della nostra categoria, si potrebbe ovviare al problema con una serie di letture, meravigliosi recital di grandi poeti troppo spesso disattesi persino dalle case editrici, revival di scrittori fino a ieri onorati e il giorno dopo disonorati vilipesi dimenticati come se non fossero apparsi mai sul nostro disgraziato pianeta».
Adesso cosa sta preparando?
«Nel mio ultimo one woman show che riprenderò quanto prima, ho reso omaggio ad Eleonora Duse. Col mio grande amico Pippo Crivelli, che mi ha diretto con rara competenza, ho sfogliato decine di lettere, centinaia di comunicati, pagine e pagine di ricordi di prima mano...»
E il risultato?
«Il risultato è stato una performance in cui io, aiutata dalla sua presenza che mi assiste da anni ogni volta che leggo Ibsen o mi soffermo su un capitolo di D'Annunzio, ho ricostruito pezzo per pezzo la sua magnifica avventura di donna e d'artista».


Vedremo presto anche a Milano il risultato di tanta fatica? «Certamente. Magari fin dal mese prossimo. Lasci che vada a riprendermi in quel di Camogli, il paese dell' eremo, tra onde color del cielo e frati color dell' aria, e allora vedrete anche la mia Duse».

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