L’invasione dei Chicago boys mette paura a Washington

Giuseppe De Bellis

Quelli del clan arrivano in blocco. Chicago-Washington: i pendolari della Casa Bianca partono insieme. Tutti. Una tribù di facce e di idee che sta per invadere la capitale. Washington aspetta la calata: gli altri Chicago boys stanno facendo le valigie per prendersi appartamenti a Georgetown o nel triangolo federale. Obama sarà seguito a Washington da un gruppo di «chicagoan»: tutti figli del suo vento e della sua politica. Tutti uguali: cresciuti nella palestra dei Daley, la famiglia che governa la città da cinquant’anni. Rahm Emanuel prepara il terreno. «Se sono tutti come lui, ci sarà da ridere»: il quotidiano online Politico s’è infilato negli angoli della Washington che conta per scoprire che i Chicago boys sono visti con sospetto, attesi, temuti: «Sono arroganti, presuntuosi, pieni di sé. Fanno squadra, si appoggiano l’uno con l’altro».
Barack si porterà dentro la Casa Bianca David Axelrod e David Plouffe, cioè il suo stratega e il suo campaign manager. Entrambi di Chicago. Cioè Axelrod è di New York, ma ha costruito la sua vita professionale sulle rive del Lago Michigan. Come l’altro David, cioè Plouffe: l’inventore della strategia dei piccoli finanziatori e dei piccoli finanziamenti. Comandano, i due David. Hanno voluto che il quartier generale del team fosse mantenuto sempre lì, a Chicago. Un palazzo attorno al quale hanno ruotato e ruotano personaggi famosi e meno famosi, attivisti, giovani, vecchi esponenti democratici. Tutti tra le strade di Windy City, perché la cavalcata di Obama è partita tutta dentro la città, ha girato intorno ad Hyde Park, ha avuto il suo embrione nei sermoni di Saul Alinsky che formarono l’inizio della carriera politica di Barack e anche di tutti quelli che adesso sono con lui. Qui c’entra anche la famiglia Daley, cioè quella dei Richard padre e figlio che si sono trasmessi il potere per linea dinastica e comandano al Comune. Democratici. Perché con loro tanta gente ha avuto a che fare: come Valerie Jarrett che non ha avuto ruoli nello staff di Barack, ma siccome è stata capo della Borsa di Chicago è una delle donne più ascoltate dal candidato alla presidenza. Con lei anche Penny Pritzker, l’erede dei signori della catena alberghiera Hyatt, tesoriere della campagna elettorale obamiana. Nata a Chicago, cresciuta a Chicago, residente a Chicago. Un’altra del clan pronta a fare la pendolare.
Andrà a Washington anche Robert Gibbs, l’uomo delle comunicazioni di Barack, una specie di voce e anche una specie di parafulmine, quello che cura i rapporti con la stampa, adesso pronto a fare il portavoce della Casa Bianca. Non è di Chicago, lui. Ma fa parte dell’orda, perché da quattro anni segue ovunque il suo «cliente» e conosce tutti i boys: la pensa come loro, lavora come loro, fa politica come loro. Perché Chicago e i suoi figli hanno creato un modo di fare. Quello che spaventa Washington per l’arroganza, la voglia di essere sempre i più bravi, l’incapacità di perdere. Prende le mosse dalle stanze del Comune. Dai Daley. Richard senior e Richard Junior: il primo sindaco di Windy City dal 1955 al 1976. Mai una sconfitta, mai un avversario davanti: il potere glielo tolse la morte. E così vuol fare il secondo, che governa la città dal 1989, ovviamente senza aver mai dovuto lasciare il posto, senza aver mai perso un’elezione. Diciannove anni, vuol dire che supererà il record del padre. I Daley sono famosi in tutti gli Stati Uniti perché con loro il partito democratico in città non ha mai perso né un’elezione locale né una presidenza. Chiunque abbia fatto politica a Chicago è passato da loro. Obama dice di no: «Ho sempre rifiutato». Ma tutti quelli che ruotano attorno al neopresidente sì.

Compreso un altro che Barack ha già messo nella squadra della transizione, per qualcuno era in competizione per diventare il segretario al Tesoro. Male che vada alla Casa Bianca sarà un consulente. Si chiama William Daley: è il figlio di Richard senior e il fratello di Richard junior. Un altro del clan.

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