L’inviato di Pechino preme su Kim Jong Il

Missione a Pyongyang mentre il presidente cinese Hu Jintao insiste: dovete capire che questa volta il mondo fa sul serio

Roberto Fabbri

La Cina cerca di convincere una Corea del Nord sempre più isolata a tornare al tavolo delle trattative per scongiurare un ulteriore aggravamento della crisi nucleare precipitata con il test atomico del 9 ottobre, mentre il segretario di Stato americano Rice è in Asia per una serie di colloqui mirati ad abbassare le tensioni nei Paesi che si sentono minacciati dal regime di Kim Jong Il.
Il ministero degli Esteri di Pechino si è limitato a non confermare né smentire la missione a Pyongyang di Tang Jiaxuan, ex ministro degli Esteri, consigliere di Stato e inviato del presidente Hu Jintao, proprio mentre si moltiplicano i segnali di un secondo esperimento nucleare nordcoreano che gli Stati Uniti hanno già bollato come «un atto di guerra». Ma è realistico osservare che il messaggio di Tang somigli parecchio a quello inviato indirettamente ieri dallo stesso Hu ricevendo una delegazione di parlamentari giapponesi (il che non sembra casuale, viste le vive preoccupazioni di Tokio): il numero uno cinese, solitamente prudente nel linguaggio, ha apertamente criticato la Corea del Nord, alleato di lungo corso, per non aver dato ascolto al suo consiglio di non eseguire il test atomico, e ha sottolineato che Kim Jong Il «deve rendersi conto della forza delle reazioni internazionali».
A questo va aggiunto il significativo tono dell’editoriale dell’edizione per l’estero del Quotidiano del popolo, organo ufficiale del Partito comunista cinese. Vi si legge che il test del 9 ottobre «ha rafforzato la comunanza di interessi tra Pechino, Washington, Tokio e Seul» e che Pyongyang ha toccato «il punto di allarme della Cina». Circolano inoltre voci non smentite sul blocco delle operazioni bancarie tra Cina e Corea del Nord, mentre i controlli della dogana cinese a Dandong, principale posto di confine tra i due Paesi, sono diventati stringenti.
Anche Washington, come si diceva, è in campo con i vertici della sua diplomazia. Condoleezza Rice era ieri a Tokio, prima tappa di un tour che la vedrà poi sbarcare a Seul e a Pechino. In una conferenza stampa ha chiarito che gli Stati Uniti sono pronti a garantire la sicurezza dell’alleato giapponese. «Abbiamo la volontà e la capacità - ha detto - di onorare in pieno, e sottolineo in pieno, i nostri impegni di deterrenza e sicurezza assunti verso il Giappone». Parole molto chiare, pronunciate anche per dissuadere Tokio e Seul dall’intraprendere la pericolosa strada verso la costruzione di un proprio arsenale nucleare, scenario molto temuto alla Casa Bianca, ma anche solo dall’avviarsi - come Kim Jong Il gradirebbe - verso un incrinamento del fronte di alleanze americano nella regione del nord-est asiatico.
Non solo in quell’area, peraltro, le pericolose mosse della Corea del Nord suscitano preoccupazione. Anche il premier indiano Manmoan Singh ha lamentato ieri che il test nucleare «ha sconvolto l'equilibrio di potere in Asia e costituisce una minaccia che va oltre il continente».

L’India ha effettuato test atomici l’ultima volta nel 1998 e si presenta come una «potenza atomica democratica». Conta a breve sulla firma di un accordo con Washington per aiuti allo sviluppo del proprio nucleare per scopi civili e ora teme che i recenti sviluppi in Corea lo mettano a rischio.

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