Gian Micalessin
«Europa attenta perché potresti farti male». La minaccia è chiara, eloquente, aggressiva. A lanciarla è, manco a dirlo, il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad. Adesso le anime belle dellEuropa, quelle convinte di mandare i propri eserciti a sfilare in Libano, patteggiare una soluzione di compromesso e ritornarsene a casa vantando un risultato storico sono servite. Le esternazioni del presidente iraniano scattano nella Giornata di Gerusalemme, la celebrazione istituita dallImam Khomeini per evocare la liberazione della Città Santa da Israele. Se, in un giorno come questo, lo Stato ebraico e il suo alleato americano diventano bersagli scontati, il vecchio Continente beneficiava, fino ad oggi, di un certo rispetto. Da ieri tutto è finito. Il presidente aizza le folle in una piazza di Teheran inondata dalle bandiere gialle di Hezbollah e dai ritratti del segretario generale Hasan Nasrallah. Davanti ai simboli del movimento che la missione internazionale guidata da Italia e Francia dovrebbe contribuire a disarmare Ahmadinejad lancia la sua invettiva ad un Europa accusata di appoggiare Israele. «Dovreste aver capito - avvisa Ahmadinejad che quel regime non può durare a lungo e non può esservi di grande beneficio. Quali vantaggi pensate di ottenere appoggiandolo oltre allodio delle nazioni». Immediatamente dopo scatta la staffilata: «Vi abbiamo già avvisato: gli americani sono lontani, ma voi siete i vicini di casa più prossimi a questa regione. Queste nazioni sono come la marea di un oceano, quando la tempesta si scatenerà anche voi potreste farvi male».
A rispondere senza mezzi termini ad Ahmadinejad ci pensa una Condoleezza Rice reduce da Pechino e inviperita dalla mancanza di chiarezza cinese sulle sanzioni destinate ad arginare la minaccia nucleare iraniana. La vaghezza cinese e i conseguenti dubbi sul voto del Consiglio di Sicurezza la spingono a confermare lassoluta determinazione di Washington. Linvio della portaerei nucleare Eisenhower nel Golfo Persico e le manovre militari del prossimo 29 ottobre davanti alle coste iraniane serviranno, secondo la Rice, «a dimostrare a Teheran la potenza militare degli Stati Uniti». Poi spiega che Washington ormai non si fida più ed è contraria anche alluso pacifico del nucleare da parte di Teheran. «LIran è ormai in grado di produrre la bomba atomica e per questo deve interrompere ogni attività nucleare». Se ciò non avverrà «faremo di tutto perché non si trasformi in una nuova Corea del Nord nel Medio Oriente».
A Teheran il discorso di Ahmadinejad davanti a quella piazza inneggiante a Hezbollah non lascia intanto spazio per le illusioni. Appena oltre i confini dIsraele, al confine libanese ci sono i militari europei e fra questi soprattutto i soldati dItalia e Francia. Sono lì per contribuire al disarmo di Hezbollah, per ridimensionare il miglior alleato di Teheran, la lunga mano dei pasdaran in Medio Oriente.
Difficile non inserire il messaggio di Ahmadinejad nella coreografia della piazza che inneggia alle sue parole. Difficile dimenticare che le parole del presidente iraniano rappresentano la terza intimidazione, in meno di un mese, alla forza internazionale dellUnifil. La prima scattò il 22 settembre scorso quando Hasan Nasrallah avvertì che nessuno poteva disarmare il suo movimento. Non più di una settimana fa il padre spirituale del Partito di Dio, sceicco Mohammed Hussein Fadlallah, si è spinto più in là sostenendo che la presenza dellUnifil favorisce solo Israele. Lavvertimento di Ahmadinejad chiude il cerchio e fa piazza pulita delle illusioni di chi, vantando buoni rapporti con Teheran, spera di raggiungere un accordo sulla questione libanese. Il monito di Ahmadinejad fa capire che le forze radicali della Repubblica Islamica non sono disposte a compromessi e sono pronte a fronteggiare anche lEuropa se di mezzo cè il destino del suo più prezioso alleato.
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