di Fiamma Nirenstein
Chissà se Mohammed El Baradei ha ancora stampato sul viso quel sorriso di soddisfazione che mercoledì esibiva descrivendo la bozza di accordo fra lIran e il mondo che dovrebbe rappresentare la luce in fondo al tunnel dellarricchimento delluranio per la produzione della bomba atomica degli ayatollah. Ma a poche ore dal preteso accordo (ancora non ratificato) della riunione di Vienna dellAiea, lAgenzia per lEnergia Atomica, che per altro a uno sguardo meno entusiasta appare buono solo per lIran, arrivano già le prime smentite. Mohammed Reza Bahonar, vicepresidente del Parlamento iraniano, ha dichiarato beffardamente: «Quelli (le potenze riunite a Vienna, ndr) ci dicono: voi ci date il vostro uranio arricchito al 3,5% e noi vi diamo il carburante per il reattore. Per noi è inaccettabile». Né più né meno. È certamente una premessa poco incoraggiante rispetto al parere ufficiale atteso dallIran entro oggi: esso può dunque preludere a un tipico ritorno alla casella zero del gioco secondo uno schema ormai sperimentato, più tempo guadagnato, più uranio arricchito; oppure, Bahonar prepara il tavolo ai negoziatori per ottenere di più. LIran non sceglierà comunque questo momento di intensa pressione americana per chiudere la porta; seguiterà a fare ciò che vuole, cioè la bomba, traccheggiando variamente per non causare lira funesta di Obama.
Sembra difficile che El Baradei, che come al solito ha lavorato in pura funzione delle richieste iraniane, alla fine riceva un «no» totale dai suoi amici: è più probabile che laccordo si realizzi almeno nelle sue linee generali, e per lIran sarà una grande vittoria. In cambio del trasferimento di una parte del suo uranio allestero, Ahmadinejad acquisterebbe la possibilità legittima di arricchire laltra parte sul suolo iraniano; non la legittimità dellarricchimento sarebbe questionata, ma la sua quantità e la sua dimensione temporale.
Inoltre, anche se lobiettivo bomba atomica fosse rallentato, pure gli esperti parlano di un massimo di un paio di anni, in cui lIran potrebbe raggiungere lo scopo. Gli israeliani sanno bene di non essere fuori pericolo; il gabinetto di sicurezza che Netanyahu ha riunito ieri è attento comunque a non sciupare subito la festa a Obama. Il presidente americano cercherà di mostrare laccordo, se si farà, come un ottimo risultato della sua politica della mano tesa. Ehud Barak, il ministro della Difesa, ha detto che si è già visto nel passato quanto lIran sia bugiardo, e che le installazioni in vista sono una parte di una rete nascosta più larga e pericolosa.
Ma il pensiero dominante di Israele è questo: lIran cerca di fronte a tutto il mondo musulmano la gloria di mettere in questione la potenza nucleare israeliana. Il prezzo di tutta la trattativa potrebbe essere, alla fine, la messa in gioco del reattore di Dimona. Noi lasciamo il nostro arricchimento, potrebbero buttare là gli ayatollah, Israele smantella il nucleare. Sarebbe una menzogna, ma di grande effetto. Comunque deve essere per parlare a mezza bocca di questa ipotesi che qualche giorno fa è avvenuto al Cairo un incontro inusitato fra rappresentanti israeliani e iraniani (confermato dai primi e negato dai secondi) durante la conferenza sulla Non Proliferazione del Medio Oriente.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.