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L’Iran: pronti al confronto militare con gli Usa

A Mosca nuovo round di negoziati. Russia e Cina tentano di frenare le richieste di ultimatum di Londra e Washington

Gian Micalessin

da Teheran

La carne da cannone della guerra passata è tutta lì. Decine di migliaia di cadaveri sotto vialetti infiorati e tumuli di gloria dimenticata. Quella della prossima sfila a poca distanza, tra il cimitero dei martiri e il santuario silenzioso dell’imam Khomeini. Garretti alzati nel passo dell’oca, sguardi fissi all’uomo del palco, divise stirate, baionette lucidate. La giornata dell’esercito sfila via tra parate consuete, rullo di tamburi e marce di battaglia. Ma l’orgoglio di Mahmoud Ahmadinejad e dei suoi generalissimi avanza dietro ai nuovi martiri impettiti, sfila su camion possenti appesantiti dai nuovi prodigi dell’arte militare iraniana. Lui, il presidente pasdaran, le ammira con le mani appoggiate al palco e un sorriso acceso tra barba e baffi. L’ha detto ai generali. Lo ripete a fedeli e militari. «Abbiamo una delle più potenti armate del mondo, capace di difendere i confini del Paese e la nazione, quest’esercito credetemi taglierà le mani a ogni aggressore e lo farà pentire delle sue mosse».
Un anno fa il pasdaran non ancora presidente voleva mozzar le mani a corrotti e approfittatori. Oggi tante mani continuano ad arraffare, la frase continua a essere una delle preferite e il pubblico di mamme, mogli e papà al fianco dei marmittoni in marcia si augura sia un po’ più fondata. Lui e i suoi generali per dimostrarlo hanno caricato di missili, bombe e siluri una teoria di camion e cingolati. Sono le stesse armi esibite durante le manovre militari di due settimane fa, ma repetita iuvant. Soprattutto quando, sull’altro emisfero, qualcuno giura di esser pronto a usare le testate atomiche per impedire la tua corsa al nucleare.
«Dobbiamo - incita il presidente - tenerci sempre pronti, equipaggiati ed efficienti, dobbiamo avere a disposizione le tecnologie più recenti, saper riconoscere i nemici e mantenerci sempre vigili». Ed ecco allora il Fajr-3 presentato orgogliosamente come il missile invisibile ai radar capace, in prossimità dell'obbiettivo, di sgranare un rosario di testate multiple e piombare invisibile su diversi bersagli. In verità deriva da tecnologia russa vecchia più di un decennio e nonostante i rimaneggiamenti in salsa persiana può anche far cilecca. Ma oggi è meglio non dirlo. Subito dietro avanzano le nuove bombe da 350 chili e i siluri ad alta velocità studiati per disseminare di relitti il Golfo e affondare incrociatori e portarei americane. Sembrano la rivisitazione dei «maiali» italiani dell’altro secolo, ma anche qui è meglio non sottilizzare. Manca invece l’unica arma capace di far tremare i polsi agli israeliani e un po’ anche all'Europa e all'America. Lo Shahab 3, il missile capace di colpire nel raggio di duemila chilometri, basi statunitensi nel Golfo comprese (e forse di montare testate nucleari), riposa negli hangar, lontano da occhi indiscreti. Ma anche lo Shahab come tutto quell’arsenale dispiegato tra lanci di paracadutisti e aerei in volo radente deve far paura solo ai nemici, assicura Ahmadinejad. «I nostri soldati portano un messaggio di pace e sicurezza, saremo rassicuranti con gli amici e colpiremo come una stella fiammeggiante gli aggressori».
Mentre Ahmadinejad e i suoi generali s’inebriano davanti alle macchine da guerra, i loro amici russi fanno il possibile per tenerle lontane dai campi di battaglia. Negli incontri moscoviti fra i rappresentanti dei cinque paesi del Consiglio di sicurezza allargati alla Germania, la Russia fa il possibile per disinnescare le richieste di Washington e Londra decisi a strappare all’Onu un ultimatum che preveda il ricorso all’articolo sette. Come dire dure sanzioni seguite dalla minaccia di un intervento militare. Ma convincere Mosca e Cina a seguire la linea dettata da Washington non sembra facile. «Siamo convinti che né le sanzioni, né l'uso della forza possano portare alla soluzione del problema», ha detto in apertura dei colloqui il portavoce del ministero degli Esteri russo Mikhail Kamynin.
Dietro gli irriducibili del governo iraniano qualcuno lavora, intanto, per esorcizzare il rischio di un conflitto. L’ex presidente Akbar Astemi Rafsanjani, sconfitto alle elezioni dal bellicoso Ahmadinejad, fa sapere dal Kuwait d’esser certo che «gli americani non s’arrischieranno a entrare in una situazione perigliosa e senza vie d’uscita». Ma assicura che l’Iran è pronto «al braccio di ferro militare con gli Usa». «Non cerchiamo il confronto - ha detto Rafsanjani - ma se ci sarà imposto ci faremo trovare pronti».

Secondo l’ex presidente iraniano, i Paesi del Golfo non daranno alcun sostegno agli Usa e «Israele - ha sottolineato - non può raggiungere l’Iran, ma le mani iraniane possono abbattersi su Israele».

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