L’islam trova gli anticorpi nella democrazia

Recep Tayyip Erdogan ha ottenuto più della metà dei voti dei turchi, ma non è riuscito a conseguire il suo obbiettivo principale: puntava ad avere i 367 deputati necessari per redigere una nuova Costituzione senza doverla concordare con gli altri partiti

L’islam  trova gli anticorpi nella democrazia

Recep Tayyip Erdogan ha ottenuto più della metà dei voti dei turchi, ma non è riuscito a conseguire il suo obbiettivo principale: puntava ad avere i 367 deputati necessari per redigere una nuova Costituzione senza doverla concordare con gli altri partiti; si sarebbe accontentato anche dei 330, che gli avrebbero consentito di cambiare comunque la Carta dopo averla sottoposta a un referendum popolare. Invece, la complicata legge elettorale turca lo ha beffato: alla fine dei conti disporrà di soli 326 seggi su 550, che gli permetteranno di formare un nuovo governo monocolore, ma - a meno di ricevere qualche inatteso «rinforzo» - lo costringeranno a trattare con l'opposizione per la riforma costituzionale.
In altre parole, i grandi progressi che il premier ha fatto compiere al Paese nei suoi nove anni di governo, durante i quali il reddito pro capite è raddoppiato, non sono bastati a superare del tutto le diffidenze dell'elettorato laico e borghese, concentrato soprattutto nelle città dell'ovest, verso i suoi progetti a lungo termine. Gli anticorpi democratici presenti nella società e la paura di una deriva islamista e autoritaria hanno finito con il prevalere, sia pure di strettissima misura, sulla grande organizzazione e sul forte radicamento popolare del partito della Giustizia e dello Sviluppo (Akp) nelle zone più arretrate dell'Anatolia.
Il disegno di Erdogan era di modificare l'indirizzo laicista imposto un secolo fa da Kemal Atatürk, trasformare la Turchia in una repubblica presidenziale sul modello francese, diventare capo dello Stato e potere governare così fino al 2023. Ma l'elettorato pur riconoscendo le sue grandi capacità, ha tenuto conto anche degli aspetti negativi che un suo completo controllo delle istituzioni avrebbe comportato. Ha visto crescere con preoccupazione le sue tendenze autoritarie e intolleranti, che hanno già portato in prigione ben 57 giornalisti che avevano osato criticarlo e fatto precipitare la Turchia a uno degli ultimi posti nella classifica della libertà di stampa; ha temuto che il processo di islamizzazione del Paese, che finora si è tradotto nell'abolizione del divieto all'uso del velo nei luoghi pubblici e nella quasi scomparsa delle bevande alcoliche, potesse portare anche a un ridimensionamento del ruolo delle donne, che secondo un recente discorso di Erdogan, dovrebbero dedicarsi di più alla famiglia e fare almeno tre figli; forse non approva neppure del tutto la recente tendenza della Turchia ad avvicinarsi al resto del mondo islamico, allentare i tradizionali rapporti con gli Stati Uniti e l'Europa e schierarsi apertamente contro Israele.
Quale impatto il risultato elettorale avrà sulla politica estera di Ankara rimane da vedere. All'inizio Erdogan era un grande fautore della adesione Paese alla Ue e dopo l'apertura dei negoziati nel 2005 ha adottato buona parte delle riforme che Bruxelles gli chiedeva; ma da qualche tempo ha perso interesse ed è possibile che, vista anche la opposizione di numerosi Paesi europei, nel corso della prossima legislatura faccia marcia indietro.


Il buon risultato degli unici due partiti di opposizione che sono riusciti a superare lo sbarramento del 10%, il rinnovato Partito repubblicano del popolo e il Partito di azione nazionale, dimostra comunque che, nonostante l'aumento dei voti dell'Akp, la democrazia turca rimane ben viva; e il successo conseguito dai candidati curdi nel sud-est che il problema di questa minoranza, che costituisce il 14% della popolazione, è lungi dall'essere risolto.

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