L’Istituto per il commercio estero protesta: «Troppi tagli, siamo costretti a chiudere»

L’ente che si occupa dell’internazionalizzazione delle imprese: «A rischio le sedi fuori del Paese»

da Roma

La Finanziaria potrebbe mietere un’altra «vittima» eccellente dopo università, istituti di ricerca e forze di pubblica sicurezza. Si tratta dell’Ice, l’Istituto per il commercio estero. Il combinato disposto decreto Bersani-manovra potrebbe costringere l’ente che si occupa dell’internazionalizzazione delle imprese a chiudere circa la metà delle sedi all’estero.
Anche per questo motivo il consiglio di amministrazione ha deciso di non approvare il bilancio di esercizio per il 2007. Il decreto Bersani, infatti, ha ridotto il contributo statale del 7% al quale si aggiunge un altro 12,7% previsto dalla legge di bilancio. La somma dei tagli farebbe scendere lo stanziamento dai 96 milioni di euro del 2006 a circa 79 milioni per l’anno prossimo. A questi 17 milioni si aggiungono altri 7 milioni in meno di finanziamento per l’attività promozionale. Considerato che i costi fissi si attestano tra i 75 e i 76 milioni di euro annui, mentre le sedi estere (attualmente 110) sono un costo variabile e assorbono mediamente risorse per 4-500mila euro ciascuna, il risultato sarebbe la chiusura di almeno una quarantina di rappresentanze per far fronte ai tagli imposti dalla manovra.
L’Ice, inoltre, ha visto progressivamente ridursi la dotazione statale dai 124 milioni del 2002 ai 96 dell’ultima Finanziaria con una riduzione complessiva del 22,6 per cento in quattro anni. La manovra del governo Prodi opererebbe un altro taglio del 17,7% in un anno solo mettendo a rischio la prosecuzione di un’attività che non può essere surrogata né dalla rete delle ambasciate italiane né dal sistema bancario del nostro Paese (con una presenza all’estero concentrata in Europa Orientale). Anche per questo motivo Confindustria sta supportando la causa per non lasciare sole le imprese che intendono internazionalizzarsi.
C’è, inoltre, un altro aspetto da considerare ed è rappresentato dal piano strategico che il ministro del Commercio internazionale, Emma Bonino, aveva messo a punto con il direttore generale dell’istituto Massimo Mamberti: concentrare la presenza sui mercati emergenti come Cina, India, Sudamerica e Russia ottimizzando la rete europea. Un progetto che rischia di rimanere un libro dei sogni. Il tempo per intervenire, tuttavia, non è terminato e si auspica un cambiamento nel corso dell’iter parlamentare.

«Stiamo cercando di far capire - spiega il direttore generale Mamberti - che la struttura dei costi è talmente rigida che le riduzioni di spesa previste determinerebbero un taglio dei punti di presenza nei due terzi del mondo lasciando le imprese senza questa importante forma di assistenza all’estero».

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