L’Italia batte gli Stati Uniti nella partita della fiducia

Tra fiducia dei consumatori e mercato del lavoro la correlazione è talmente stretta da essere perfino ovvia. Al crescere della disoccupazione (o con aspettative di aumento), la fiducia tende infatti a calare. Non sempre, però. Altrimenti non si spiegherebbe la divaricazione tra l’andamento del confidence consumer index Usa, sceso in luglio a 46,6 punti (valore sempre più lontano da quella quota 90 necessaria per mantenere su solide basi l’economia), e quello italiano rilevato dall’Isae, schizzato questo mese ai massimi dal novembre 2007 (107,5 punti).
Con un carico oggi di 15 milioni di disoccupati, spina nel fianco di Obama, l’America chiuderà l’anno con un tasso di senza-lavoro superiore al 10%, secondo la stima del capo della Fed, Ben Bernanke. Sulla base delle previsioni dell’Isae, nel nostro Paese la disoccupazione salirà dal 7,9% del 2009 al 9,3% del 2010. È l’onda lunga della crisi. E tocca tutti. Almeno in questo caso, occorre dunque trovare altri motivi per spiegare perché in Italia la fiducia stia migliorando e negli Usa no. L’Isae attribuisce il recupero al continuo calo dell’inflazione (+0,5% in giugno) e alla diminuzione dei tassi (1% quello di riferimento), due fenomeni che assicurano un aumento del potere d’acquisto. Negli Stati Uniti, tuttavia, si sta consolidando una tendenza disinflattiva, se non addirittura deflazionistica (-1,4% i prezzi al consumo il mese scorso); per non parlare del costo del denaro, da mesi praticamente azzerato.
Anche se il recupero di fiducia dei consumatori italiani potrebbe essere stato in parte condizionato dalla stagione dei saldi, l’Isae rileva una riduzione (a 74 da 80) delle attese di aumento della disoccupazione, probabilmente giustificate dalla stabilizzazione della produzione industriale (+0,5% in luglio su giugno secondo i dati del Centro studi Confindustria). Questo è un primo elemento di rottura con gli Usa, dove la percentuale di chi prevede un miglioramento dell’occupazione è diminuita al 15% dal 17,5%.
Insomma, un cauto ottimismo (il nostro) opposto a un pessimismo in peggioramento (quello Usa). Quest’ultimo anche figlio della cattiva abitudine di spendere, spendere fino a indebitarsi oltre misura.

Ha detto bene qualche giorno fa un guru come Allen Sinai: «Prima di ricominciare a comprare, gli americani dovranno risparmiare molto». Noi l’abbiamo sempre fatto. Forse per questo ora guardiamo al futuro con minor preoccupazione.

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