C'era una volta l'Italia che diceva sempre sì, che non faceva mai notizia. Fino a qualche anno fa quando i leader di Germania, Francia e Gran Bretagna elencavano i grandi Paesi della Ue, si scordavano di citare il nostro, benché nel Consiglio europeo avesse il loro stesso numero di voti. Tecnicamente pesava quanto loro, ma politicamente praticamente nulla. L'Italia era il Paese che diceva sempre sì e non poneva mai condizioni, non causava mai problemi e si accontentava di una carezza, di un riconoscimento. Tutti urlavano, noi sempre zitti e sorridenti. Quell'Italia non esiste più e non esiste più nemmeno l'Unione europea, come era stata sognata da Schumann, Spinelli e poi modellata da Helmut Kohl e François Mitterrand, attorno all'euro, come tappa costituente di un progetto che avrebbe dovuto far nascere, con il tempo, una nuova entità, più o meno federale, ma ben articolata, lineare, coesa. Uno Stato federale o un grande, prestigioso club. Bisognava scegliere.
Oggi, invece, la Ue è un organismo amorfo, incapace sia di gestire l'allargamento ad est, che di superare i no piovuti nei referendum svoltisi in Francia, Olanda, Irlanda; e in quanto tale prigioniero delle lobby, impalpabili ma molto influenti, economiche, ovviamente, ma anche politiche. E come accade spesso nelle grandi amministrazioni pubbliche, quella di sinistra è particolarmente influente a Bruxelles. Una sinistra non certo rossa, ma statalista e istituzionale, che non tollera chi spariglia le carte; dunque l'Italia, che si è sbarazzata dei propri complessi di inferiorità nei confronti dei partner europei. Questa Italia irrita l'establishment europeo.
Si può apprezzare o meno Berlusconi, ma non si può negare che abbia rivoluzionato la politica estera del Paese, impostandola in difesa degli interessi del Paese. Ha stretto rapporti con la Russia di Putin con un occhio alla bolletta energetica; ha mantenuto eccellenti rapporti con il mondo arabo pur dichiarando la propria fraterna amicizia per Israele; ha rinsaldato l'alleanza con gli Stati Uniti rispettando gli impegni internazionali, dall'Irak all'Afghanistan, ma ha tenuto canali di dialogo con Paesi invisi a Washington, come l'Iran. E quando la comunità internazionale ha riabilitato la Libia è stato tra i più lesti a cercare di approfittare della situazione. Non è l'unico, peraltro: Sarkozy sta facendo altrettanto, anzi, fu il primo ad accogliere Gheddafi in visita ufficiale a Parigi.
Alcune decisioni di Berlusconi si sono rivelate oculate, altre meno. C'è chi non apprezza il suo stile troppo disinvolto e ne ha pieno diritto, ma questa sua libertà di manovra nasce da una constatazione: l'Unione europea, oggi, è incapace di affrontare i problemi che più sono sentiti dai cittadini, come quello dell'immigrazione. Gran bella idea, Schengen, la libera circolazione delle persone, senza più frontiere; peccato però che Bruxelles si sia dimenticata di stabilire regole comuni per l'espulsione dei clandestini e la concessione del diritto d'asilo, lasciando soli i Paesi più esposti al flusso dei clandestini. Quante volte Italia, Spagna, Grecia e Malta hanno invocato misure comuni? Eppure ancora oggi Bruxelles non ha saputo dare una risposta. Prende tempo e critica, spesso pesantemente. E non perdona chi tenta di risolvere il problema da sé, come ha fatto l'Italia stringendo l'accordo con la Libia, che non è certo perfetto, ma per molti versi inevitabile; perché è stata la Ue a creare le premesse di una situazione insostenibile. Sugli immigrati, ma non solo. Sono tanti, troppi i dossier irrisolti. Ed è pertanto sempre più urgente il tentativo di smascherare l'inefficienza della Ue.
Le polemiche contro l'Italia non riguardano solo la figura di Berlusconi, per quanto criticabile possa essere, ma rientrano in un contesto più ampio, si intrecciano con le lotte di potere comunitarie, con gli interessi di un certo establishment, ripiegato su se stesso e ormai incapace di ridare linfa al sogno europeo. Sono le lobby invisibili il vero problema della Ue di oggi. Tutto il resto è strumentale.
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