Per due volte il Tutor ha illuso gli automobilisti che speravano in una piena applicazione di tutte le sue potenzialità: all'inizio del 2006, quando è terminata la sperimentazione ed è diventato ufficialmente uno strumento di controllo, e nel 2010, quando sono stati varati gli articoli del nuovo Codice della Strada. In queste due occasioni, tra gli aspetti positivi di questo particolare sistema di rilevamento della velocità è stata citata la possibilità di innalzare il limite da 130 a 150 km/h. Ma si trattava soltanto di un'illusione perché, a oltre cinque anni dal debutto (con 300 sanzioni in 45 ore) e a un anno dall’annuncio di essere pronto alla sperimentazione da parte di Attilio Schneck, presidente della Serenissima Padova-Brescia, nulla è stato fatto.
Quella che era chiaramente una concessione parziale, che doveva rispettare una serie di requisiti per potere essere applicata, si è in realtà rivelata una bolla di sapone. I paletti erano numerosi: tre corsie per senso di marcia con corsia di emergenza, andamento rettilineo e, ovviamente, presenza del Tutor. E in parecchi ci avevano creduto, o perlomeno sperato.
Che cosa è successo nel frattempo? Il fronte contrario ha fatto muro.
Quando ancora era un embrione e si chiamava Sicve (Sistema informativo per il controllo della velocità), il Tutor era stato apprezzato da molte associazioni per il suo ruolo primario di controllore imparziale degli automobilisti dal piede troppo pesante, ma le stesse organizzazioni si erano opposte fermamente al compito di dispositivo per vigilare su quei 20 km/h in più. In prima fila l'Asaps, vale a dire l'Associazione sostenitori amici polizia stradale, forte dell'appoggio di circa 30mila soci, divisi tra rappresentati di tutte le forze di polizia e semplici cittadini. Il presidente Giordano Biserni aveva puntato il dito contro il fatto che i 150 km/h avrebbero rappresentato un limite solo teorico, dato che il 5% di tolleranza consentirebbe di viaggiare liberamente a 157 km/h e di spingersi fino a 167 rischiando una sanzione di soli 38 euro.
Con questi argomenti, l'Asaps è riuscita nell'intento di scoraggiare chiunque abbia dimostrato la volontà di concedere un po di libertà in più, anche se ufficialmente le tabelle relative alle sanzioni amministrative prevedono una colonna relativa alle autostrade con tetto elevato a 150 km/h. Per le concessionarie che gestiscono i vari tratti nazionali, ai quali la legge demanda le possibilità di intervento, vince evidentemente il timore di scontrarsi con le statistiche. Basterebbe infatti un solo ferito in più sul tratto incriminato, per trovarsi tutti contro. Anche nel caso i numeri non dipendessero direttamente dalla velocità, ma per esempio da una stagione invernale particolamente nebbiosa che contribuirebbe a far impennare i tamponamenti. E i gestori sono terrorizzati da una pubblicità negativa.
L'esempio degli altri Paesi europei non aiuta. La media continentale è di 125 km/h, e complicare il tutto c'è anche la tendenza tedesca di ridurre i tratti privi di limitazione, che avevano sempre fatto pensare alla Germania come il paradiso degli automobilisti dal piede pesante. Al momento è l'unico esempio di rete autostradale con una velocità consigliata di 130, ma di fatto libera, anche se solo in determinati segmenti. Tuttavia questo privilegio si sta sempre più assottigliando, e sono in decisa crescita le porzioni limitate a 110 km/h. Non va certo meglio in Spagna e in Francia, dove la forte repressione sta dando i frutti su utenti tendenzialmente simili a quelli italiani, decisamente vulnerabili quando si tratta di seguire le regole in termini di velocità.
Se si continua l'analisi di quanto accade in Europa, ci si rende conto che l'Italia è tra i pochi con una rete autostradale piuttosto estesa sulla quale si può viaggiare a 130 km/h, mentre gli inglesi si devono accontentare di 112 km/, e i norvegesi non possono superare i 100. Con l'aria che tira, il rischio è che il prossimo cambiamento del limite non sia verso l’alto.
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