«L’Italia non bombarderà mai la Libia»

RomaNiente raid sulla Libia. Abbiamo «un legame», dice Silvio Berlusconi, quella era la nostra quarta sponda, non possiamo bombardarla. La Nato dovrà mettersi il cuore in pace. «Facciamo già abbastanza - spiega il Cavaliere - , il nostro impegno è perfettamente in linea con la risoluzione dell’Onu». Di più non si può fare. Anzi, il premier pensa a «una revisione complessiva delle partecipazione italiane alle missioni internazionali, molto impegnative dal punto di vista economico». Si profilano tagli e riduzioni, anche perchè serviranno soldi e uomini per fronteggiare l’immigrazione. Ma da Bratislava Giorgio Napolitano avverte: «Le missioni all’estero contribuiscono alla pace. L’Europa è credibile solo se aiuta i popoli in lotta per la democrazia, come in Libia».
Dunque, nonostante le pressioni di Usa e Nato, il Consiglio dei ministri nega l’autorizzazione ad alzare il livello della nostra partecipazione a Odissey Dawn. «Considerando la nostra posizione geografica, la nostra storia e il nostro passato coloniale - sostiene il premier - non sarebbe comprensibile un maggiore impegno». La posizione italiana, che resta quella di dare «il massimo appoggio con le basi, è stata capita e apprezzata dagli alleati». Apprezza soprattutto la Lega, che da tempo vuole ridurre il coinvolgimento italiano in Libia e su altri teatri, magari per rischierare i soldati a Lampedusa. In questo va letta pure la decisione di non dare armamenti agli insorti di Bengasi. «Serve prima un governo democratico», va dicendo Umberto Bossi da qualche giorno. E così l’Italia fornirà al Cnt «tecnologia avanzata di difesa», cioè radar e sistemi di comunicazione, ma non «armi offensive». Prudenza quindi, ma il dialogo con Bengasi «resta aperto». Mentre l’Onu, parola di Alain Leroy capo del dipartimento per il peacekeeping dell’Onu, non esclude un dispiegamento dei Caschi Blu nel caso di cessate il fuoco tra Tripoli e ribelli.
Quanto alle missioni, sono mesi che il Carroccio chiede il ritiro dei soldati. Operazione impossibile: per uscire dagli impegni internazionali servirebbe quanto meno un passaggio parlamentare. Berlusconi se la cava annunciando riduzioni graduali dei contingenti in Libano e in Kosovo. Comunque, afferma, di fronte all’emergenza immigrazione, «che comporta costi ingenti per il Paese con il blocco navale e le operazioni di accoglienza», è opportuno riorganizzare tutto l’insieme delle spedizioni militari all’estero». Infine, l’accordo con la Tunisia e i permessi temporanei per i migranti. Berlusconi, forte dell’appoggio per presidente della Commissione Ue Josè Barroso, si dice «fiducioso» di riuscire a convincere Sarkozy nel vertice bilaterale del 26 aprile a Roma.
Ma gli sbarchi continuerannno. Anche secondo Napolitano «non possiamo illuderci di fare dei nostri confini una fortezza inespugnabile». Del resto, aggiunge, «le minacce di instabilità» si sono avvicinate e l’Europa «non si può sottrarre dal sostenere il percorso di sviluppo intrapreso dai Paesi del Mediterraneo meridionale e orientale». Per il capo dello Stato le missioni aiutano a costruire la pace. «I nostri contingenti - dice a Bratislava dov’è in visita ufficiale - sono schierati nei Balcani, il Medio Oriente e in Afghanistan per promuovere e sostenere quei principi di pace e di rispetto dei diritti umani che affratellano i nostri popoli.

Sono quei medesimi valori che hanno spinto l’Italia a raccogliere il grido di aiuto del popolo libico». Conclusione sui permessi temporanei di Maroni, contestati da alcuni partner europei: «Nessuno può fare obiezioni al fatto che in Italia si applichi una legge italiana».

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