«L’Italia è in pericolo, è meglio fare da soli»

Gian Battista Bozzo

da Roma

«Nell’immediato, le ripercussioni sull’Europa e sull’Italia dipendono da quanto decide Kiev. In prospettiva, il nostro Paese deve assolutamente proteggersi da rischi di approvvigionamento, puntando sulla costruzione dei rigassificatori». La controversia sul gas fra Russia ed Ucraina rappresenta un grave pericolo, perché sullo stesso tubo viaggia il gas naturale destinato all’Italia, e se Kiev trattenesse parte delle forniture potremmo trovarci in crisi. Uno scenario che dimostra, dice Carlo Stagnaro - ricercatore dell’Istituto «Bruno Leoni» - la fragilità del nostro sistema energetico.
Quali potrebbero essere le ripercussioni immediate per l’Italia, se si fermasse il gas che proviene dalla Russia?
«Nell’immediato tutto dipende da quel che decide Kiev, cioè se tratterrà il gas di cui ha bisogno sottraendolo all’Europa. È ancora presto per dirlo. Ma il semplice fatto che una simile minaccia esista, che l’approvvigionamento sia appeso alla decisione del governo di uno Stato ex sovietico, è un fatto preoccupante: dipendiamo dall’umore di un altro Paese, e non disponiamo di efficaci strumenti per influenzare quella decisione. Questa è la prima lezione: l’eccessiva dipendenza dai gasdotti è un grave limite per il nostro sistema energetico».
Ci spiega perché?
«Il “tubo” rappresenta un investimento enorme, e ti vincola a trattare con il tuo fornitore. Per il gasdotto ucraino, passa il 20% del gas naturale importato dall’Unione europea. Difficile dire quanto ne arrivi per quella via nel nostro Paese; ma comunque, complessivamente, l’Italia importa dalla Russia il 32% del gas naturale. È evidente che questo rende vitale il rapporto con Mosca».
Non è possibile proteggerci contro una vertenza che ci danneggia senza che l’Italia sia parte in causa?
«Gli accordi internazionali ci sono, ma se il governo di Kiev decide di trattenere la sua quota di gas, nell’immediato non si può far molto. Finora l’Ucraina, come tutti i Paesi satelliti della Russia, godeva di prezzi molto bassi, un terzo del valore di mercato. Mosca ha deciso di rivedere questi prezzi, ma in maniera selettiva: e con l’Ucraina, che ha deciso di uscire dalla sfera di influenza russa, è stata più severa. Putin non ha mai amato la rivoluzione arancione».
Torniamo all’Italia, e alle ripercussioni di questa crisi per il nostro sistema energetico.
«L’Italia importa gas naturale da tre Paesi - Russia, Libia e Algeria - per 66,5 milioni di Tep (tonnellate equivalenti petrolio, dati 2004, ndr) e già sfrutta quasi al massimo la propria capacità. Il gas rappresenta il 33,8% del totale dei consumi energetici, sia industriali, sia civili, sia per generare energia elettrica. Sinceramente, non credo a una crisi vera e propria, avrebbe poco senso infliggere una simile batosta ai Paesi consumatori. Però, questa vicenda evidenzia quanto sia fragile il sistema energetico italiano. È necessario quindi ampliare le fonti di rifornimento. Abbiamo otto progetti di rigassificatori: impianti che possono ricevere le fornitore, via nave, da qualsiasi Paese. C’è abbondanza di gas nel mondo, basta pagarlo. Purtroppo i prezzi, legati a quelli del petrolio, sono alti. Ma il gas a disposizione è tanto».
Lei parla di progetti. Ma a che punto sono?
«Esiste un solo rigassificatore funzionante, in provincia di La Spezia. Degli otto progetti, due sono stati approvati. Uno, quello vicino a Brindisi, però non parte. Il secondo, verso Rovigo, è in via di cantieramento. Gli altri sei sono da approvare.

Le resistenze sono molte, da parte delle comunità locali e degli ambientalisti. Ma se per ogni rigassificatore c’è un “effetto Tav”, allora nessuno vorrà investire in questi impianti. Potremmo avere più concorrenza e prezzi più bassi. Invece, oggi, il gas in Italia costa più che altrove».

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