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L’Italia sa vincere Ma adesso deve imparare a perdere

In fondo lui non se n’è mai andato: era comparso nel 2002 dal nulla e per lo sport italiano da quel giorno è diventato un punto di riferimento. C’è sempre insomma un Byron Moreno a cui attaccarsi: dietro ogni sconfitta dello sport azzurro appare la sua faccia paciosa, quegli occhi in su verso il cartellino con cui espelle Totti, quella scena che sarebbe anche un po’ comica se non avesse rovinato le nostre notti mondiali e anche quelle più italiane, cosa che spesso nelle nostre famiglie coincidono. Che lui, l’ecuadoregno col fischietto, in quella Corea di sei anni fa fosse stato (...)

(...) meno peggio del Vieri che sbagliò un gol dalla linea di porta, poco importa. E che lui, quel giorno, sia uscito dall’oscurità per diventare l’arbitro più noto del mondo al grido di «italiani frignoni» è solo il corollario del nostro sport nazionale, diventato per l’occasione disciplina olimpica e neppure dimostrativa: il piangersi addosso.
Più avvincente di una finale dal trampolino elastico, più appassionante di una sfida di badminton, il piagnisteo olimpico ha così toccato ieri il suo culmine massimo ed è un vero peccato che non possa entrare di diritto nel medagliere: saremmo a livelli della Cina. Perché se è vero che l’Italia dello sport sa vincere - e tanto -, bisognerebbe ora cominciare a fare un po’ di allenamento specifico per la disciplina nella quale siamo un po’ carenti: saper perdere.
L’unica novità nel settore è che quelli del calcio - cioè proprio lo sport nel quale dopo quella Corea del 2002 fu impedito ad Ahn, il giocatore che ci eliminò dai mondiali, di rimettere piede sul suolo italico (giocava nel Perugia, infatti) - questa volta ha usato toni misurati: siamo stati fatti fuori sì dal Belgio, ma solo un po’ per colpa dell’arbitro e soprattutto - è stato detto alla fine - per demerito nostro. L’unico che non se n’è accorto è il portiere Viviano che, dopo aver lasciato passare il pallone del 2-3, ha pensato bene di scusarsi rifilando una bella manata a un avversario. Ma tant’è: cambiasse idea è già pronto per la scherma.
Disciplina - questa - nobile per definizione nella quale di solito le vittorie si sprecano. Così, il problema dell’Italia di cappa e spada non è appunto quello di saper vincere, ma quello di saper perdere. La Trillini viene eliminata nella semifinale del fioretto? Colpa dell’arbitro: «Mi ritiro, perché se torno in pedana mi spaccano una gamba». Sanzo vince il bronzo del fioretto maschile? È sempre colpa dell’arbitro: «E non me ne frega niente del terzo posto, io volevo l’oro». Le tre ragazze guardacaso sempre del fioretto vanno fuori per una stoccata contestata? È ancora colpa dell’arbitro: «Lassù qualcuno non ci ama».
Che poi, per carità, ci sia anche qualche ragione da parte nostra, ciò non giustifica il complottismo di massa con tanto di sedie sbattute dal ct (che poi dirà di averla solo appoggiata chiudendo il tutto con un bel «un cinese ha fatto la spia»). E non giustifica neppure il virus dilagante che ha finito per contagiare anche l’atletica, dove il nostro marciatore Brugnetti ha dato la colpa (ma va?) agli arbitri per la mancata squalifica degli avversari che gli sono arrivati davanti: «Potevo salire sul podio - ha detto dopo il quinto posto finale - là davanti correvano tutti».

Posto che per noi comuni mortali quelli della marcia corrono un po’ tutti, a questo punto alla nostra squadra un po’ lacrimona facciamo - con rispetto per i loro sacrifici s’intende - solo una domanda. E se un giorno imparassimo che non è sempre colpa di Moreno?
Marco Lombardo

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