L’italiana che nuota tra gli squali e li ipnotizza con coccole e carezze

È di Roma e fa la documentarista specializzata in animali marini

Nino Materi

Quando Claudia era piccina e la mamma le raccontava la storia del «pescecane» che aveva inghiottito Geppetto e Pinocchio, lei non aveva mai paura per il burattino né per il babbo falegname. Infatti Claudia sapeva - anzi, sentiva - che dei pesci ci si può fidare: anche di quelli che godono di una pessima fama, come appunto i pescecani. Ragion per cui Claudia Capodarte - una volta diventata grande - ha dedicato la sua vita allo studio di queste creature del mare che, nei titoli dei film, vengono spesso abbinate alle parole «killer» o «assassine». Basti pensare alla saga cinematografica di Lo squalo, Lo squalo 2, Lo squalo 3D e Lo squalo 4: la vendetta. Pellicole che Claudia, romana, 44 anni, documentarista, non è mai andata a vedere, preferendo regalarci storie dai contorni fin troppo idilliaci. Titolo della sua ultima «favola»: «La lady-squalo che coccola i predatori del mare»; sottotitolo: «La coraggiosa immersione di una sub italiana, protetta solo da una muta stile medioevo».
Claudia, di ritorno da Grand Bahama (l’isola più grande delle Bahamas), ha raccontato all’Ansa come è riuscita a «coccolare» gli squali nel Mar dei Caraibi: «Le carezze li mandano in estasi, si rilassano, è come se entrassero in trance» sostiene la Capodarte che, al momento dell’«incontro ravvicinato», indossava una speciale maglia di acciaio.
Cliccando il cognome «Capodarte» sul motore di ricerca Google, si scopre che Claudia è una specialista nei tête-à-tête con gli animali marini. Qualche tempo fa ha vissuto dieci giorni nelle acque di fronte all’isola di Rurutu con una balena megattera appena nata. Pure in quella occasione si compì il miracolo: «La piccola balena appena vedeva immergersi Claudia le andava incontro per giocare, dedicandole evoluzioni e piroette sotto l’occhio vigile della madre».
Insomma, in questo campo, la Capodarte è recidiva. Ma una cosa sono le balene e un’altra sono gli squali, almeno certe specie di squali: il Carcharhinus Perezi (detto «dormiente») non è forse tra i più famelici, ma sicuramente non è buono come il delfino Flipper.
«Il minimo che ci si aspetta da un simile faccia a faccia è di finire in polpette; e invece d’incanto i temibili pescioni fanno gli occhi “dolci” e si sbrodolano in effusioni, lasciandosi accarezzare pigramente - è la soave descrizione fatta da Claudia -. Sembra impossibile, eppure si scopre che perfino i “cattivi” degli oceani amano giocare e sono capaci di scherzare con l’uomo».
La novità di questo «contatto diretto» è che per la prima volta ha avuto luogo senza la tipica gabbia che di solito separa i subacquei dai «predatori degli abissi».
«Ho indossato una maglia a prova di morso, non si sa mai - spiega la documentarista subacquea -. La protezione è stata realizzata appositamente per i denti degli squali che nuotano nelle acque delle Bahamas, i Carcharhinus Perezi. La muta in acciaio assomiglia molto a quelle che si usavano nel Medioevo». E proprio questa maglia sembra fare da «richiamo» per «l’ora delle coccole».
«Vengo da tante esperienze - dice Capodarte - ma emozioni così non le avevo mai provate e soprattutto mai potevo immaginare che gli squali potessero avere questa indole. Ero in piedi sul fondo, a 14 metri e gli squali cominciavano ad arrivare. Mi venivano tutti incontro. I carcharhini dei Caraibi sono massicci, sono lunghi anche tre metri e mezzo e sono i diretti cugini dello squalo bianco, quindi lascio immaginare il mio stato d’animo...».
«All’inizio vederli sfrecciare così, a pochi passi da me e in mare aperto senza gabbie di protezione, be’, sì, è stato un momento di paura, un momento estremo ma unico - racconta Claudia -, mi venivano dritti all’altezza della pancia, poi mi hanno spiegato che volevano semplicemente le carezze o si aspettavano un bocconcino, cioè un piccolo premio in cibo, come se fosse un cioccolatino».
A questo punto Claudia si lancia in un’interpretazione che sarebbe piaciuta a Fedro (quello delle favole con gli animali protagonisti, non quello del Grande Fratello, ndr): «Non era un “cioccolatino”, cioè un piccolo pesce o altro cibo che volevano, ma solo carezze e coccole. Come se mi avessero scelta, se sentissero un richiamo amichevole da parte mia. Arrivavano a decine e decine e alla fine mi sono ritrovata in mezzo a una cinquantina di squali. Il rumore dell’acqua che spostavano era pazzesco, inquietante. C’erano anche femmine incinte, grossissime. Poi li ho presi per il muso e ho cominciato ad accarezzarli. La cosa straordinaria è che queste carezze li mandano in estasi. Si rilassano tutti ed entrano in una specie di trance. Sono arrivati fino quasi a strusciarsi sulla mia muta. Uno si è girato e si è messo addirittura a pancia all’aria. Lì ho capito che anche gli squali sono capaci di giocare».
Ma perché le carezze piacciono tanto agli squali? «La spiegazione sta nel fatto che i predatori del mare - assicura Claudia, citando gli esperti che l’hanno seguita nella sua avventura - sul muso hanno dei sensori sensibilissimi, una sorta di radar che consente a questi predatori di identificare cosa hanno di fronte e di avere delle percezioni».

E proprio grazie a questi sensori che gli squali riescono a distinguere le prede. «Non attaccano l’uomo - conclude Claudia - e quando attaccano significa che hanno agito in situazioni particolari». Tanto particolari che nessuno, finora, è riuscito mai a comprenderle.
Lo farà Claudia?

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