«L’obiettivo è sempre Mubarak»

Mara Vigevani

da Gerusalemme

«Il Sinai è ormai una piattaforma ideale per i nuclei eversivi: usano le zone interne quali retrovie e possono contare su appoggi esterni. La frequenza degli attentati - quasi identici - rivela l'efficienza dei criminali». Reuven Paz, ex funzionario dello Shin Bet, esperto di fondamentalismo islamico e membro del Centro di Studi antiterrorismo di Herzelya, in Israele, spiega: «I terroristi agiscono quando sono pronti, senza forzare i tempi. Lo dimostra il fatto che se l’attentato a Dahab fosse avvenuto solo pochi giorni prima avrebbe colpito sicuramente più israeliani, presenti in Egitto per le vacanze della Pasqua ebraica».
Perché attaccare per tre volte proprio l'Egitto?
«Il presidente Mubarak è un leader laico di un Paese musulmano. La Jihad non accetta il suo laicismo e sopratutto la sua amicizia con i Paesi occidentali. Colpire il Sinai significa sopratutto colpire l'economia egiziana e, in questo modo, Mubarak. Inoltre il Sinai è un luogo di vacanza, frequentato da moltissimi occidentali che spesso girano per le spiagge e le città in abbigliamento non consono alla loro tradizione, altro motivo per colpire proprio questa zona».
Pensa che ci sia un legame tra gli attentati a Dahab e il messaggio inviato da Bin Laden il giorno prima?
«Non ne sono sicuro. Per fare un triplice attentato sono necessari molti preparativi e tempo. Può essere stata una semplice coincidenza. Gli ultimi attacchi avvenuti nel Sinai sono stati eseguiti dietro precisi e diretti ordini di Bin Laden, e compiuti da persone che lo appoggiano e che appoggiano la Jihad, la guerra santa».
Che cosa succederà ora in Egitto? Come potranno affrontare questa nuova ondata terroristica?
«L'attentato di Dahab è stato sicuramente un grosso fallimento per l’intelligence egiziana: tre attentati in pochi anni nella stessa zona. Dopo Taba e Sharm El Sheikh, gli egiziani hanno compiuto centinaia di arresti che, evidentemente, non sono serviti a fermare le organizzazioni terroristiche. In particolare hanno colpito la popolazione beduina del Sinai, che di riflesso ha reagito con ancor più rancore nei confronti del governo egiziano. Al Qaida non è una organizzazione che dia ordini in modo diretto: usa le cassette di Bin Laden, internet e messaggi segreti, cercando così di creare un’atmosfera anti-occidentale e in particolare anti-israeliana e anti-americana. Al Qaida è diventata fonte di ispirazione per gruppi fanatici. Gli egiziani dovranno quindi agire in modo diverso, non solo procedendo con arresti dopo gli attentati, ma cercando di creare una rete di intelligence che fermi gli attentati prima ancora della loro pianificazione. Inoltre è fondamentale, per il governo egiziano, che il terrorismo non riesca a colpire le grandi città come Il Cairo e Alessandria: provocherebbe una estremizzazione tra la popolazione egiziana».
L’intelligence d’Israele collabora con quella del Cairo?
«Penso che già esista una certa collaborazione tra Israele ed Egitto in materia. In passato piu volte gli israeliani avevano avvertito del pericolo di attentati nel Sinai. Ma gli egiziani hanno preferito tranquillizzare i turisti per non colpire l’economia della zona».
Pensa che esistano cellule di Al Qaida anche nella Striscia di Gaza?
«Non credo.

I palestinesi non sono anti-americani, ma solo anti-israeliani. Sicuramente c'è simpatia per Al Qaida, ma Hamas non ha alcun interesse che le sue cellule entrino a Gaza. Sicuramente comunque in Egitto e in altri Paesi Al Qaida cerca di arruolare palestinesi».

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