L’OCCIDENTE OFFENDE SE STESSO

Lo Stato italiano nel 1999 ha sostanzialmente abrogato il reato di vilipendio della religione cattolica (una norma fascista che risale a quando c’era la religione di Stato) e il paradosso è che ora hanno incriminato Roberto Calderoli perché avrebbe offeso la religione islamica. La Corte Costituzionale ha lasciato in vigore il «vilipendio contro la religione e i culti ammessi» e se Calderoli non rischierà la galera è solo perché la normativa sui reati di opinione, promulgata il mese scorso, ha depenalizzato un reato per il quale è prevista al massimo una contravvenzione di 5.000 euro.
Resta il fatto: il leader leghista è stato incriminato per gli stessi supposti reati per i quali Adel Smith denunciò Oriana Fallaci, e la prima osservazione da fare, dunque, è che il quoziente democratico del nostro Paese si sta ritorcendo sempre più palesemente contro se stesso. Esponenti provenienti da nazioni non democratiche possono usare le nostri leggi democratiche per denunciare comportamenti per noi consueti e per loro intollerabili. Adel Smith, ricordiamo, denunciò Oriana Fallaci e cercò di impedire l’affissione del crocifisso impugnando meramente le nostre leggi. La denuncia contro Calderoli è però una libera iniziativa della Procura di Roma, il che prefigura invece una crescente ipersensibilità delle nostre istituzioni giudiziarie rispetto al totem del multiculturalismo: un’inchiesta per vilipendio come quella della Procura capitolina, invero, sarebbe parsa risibile sino a poco tempo fa. Questo è un pericolo, perché ci manca solo che l’Occidente cominci a punirsi attraverso delle sedute giudiziarie di autocoscienza.
Ma c’è un secondo pericolo ed è rappresentato dalla tentazione di ricambiare questi comportamenti con la stessa moneta giudiziaria, o peggio con un rinnovato orgoglio cattolico che si metta in competizione con quell’orgoglio musulmano che un certo islam vorrebbe imporci. Sarebbe un grave errore rispondere all’alterigia religiosa delle teocrazie reinventandoci un’alterigia tutta nostra, appunto una rinnovata religione di Stato. Il cattolicesimo è parte imprescindibile della nostra cultura, e però appare sufficiente che sia regolato dal diritto positivo come tutto il resto. Per rimettere a posto gli Adel Smith basta la legge corrente: meglio se bilanciata da una sensibilità mediatica che a personaggi del genere non offra spazi sproporzionati. Ma il ritorno ai valori di cui parla il centrodestra non consiste nell’estendere anche al cristianesimo quell’intolleranza dimostrata dagli islamici nei confronti di vignette satiriche che restano legali, piacessero o meno.
La civiltà di un popolo si misura anche dall’ampiezza del suo diritto naturale: inasprire il reato di bestemmia e di vilipendio religioso, come invocato da alcuni, significherebbe retrocederci nella direzione di chi la divisione tra Stato e religione non l’ha ancora culturalmente metabolizzata, giacché l’immagine di un giudice che difende la parola di dio in tribunale va giusto nella direzione delle teocrazie che dovremmo esorcizzare. Un giudice, in tribunale, dovrebbe difendere noi. Su Repubblica di ieri si legge del leader degli integralisti islamici di Londra, Anjem Choudary, secondo il quale Calderoli «merita solamente di essere ucciso» e secondo il quale le violenze termineranno «quando la condanna sarà eseguita come è successo in Olanda con Teo Van Gogh.

Siamo decine di musulmani in Europa, anche in Italia ci saranno mujaheddin disposti ad eseguirla». Ecco, piacerebbe sapere se la magistratura italiana o internazionale non pensa che costui andrebbe chiuso in una cella. Non la stessa di Calderoli, nel caso.

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