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L’omaggio di Roma al «suo» Dalai Lama

L’aula Giulio Cesare, strapiena, lo ha atteso a lungo in un silenzio impensabile, a tratti irreale, quasi religioso. Poi, quando il Dalai Lama ha varcato la soglia dell’ingresso, è partito un applauso spontaneo, rumoroso, liberatorio, seguito da un’ovazione e da un grido, sempre lo stesso, scandito più e più volte: «Free Tibet, Tibet libero». Così si è subito sentito a suo agio Tenzin Gyatso, arrivato a Roma per ricevere la cittadinanza onoraria: ha salutato i presenti con un cenno della mano e ha regalato un sorriso dei suoi, uno di quelli che contagia, che riscalda il cuore.
Ad accompagnarlo c’era Gianni Alemanno, che si è definito commosso e onorato per la visita ufficiale di una figura che «rappresenta l’intelligenza della compassione». Per tutta risposta, dopo aver ricevuto la lupa capitolina e una pergamena-ricordo, il leader spirituale buddista ha voluto regalare al primo cittadino la sua lunga sciarpa bianca, simbolo cerimoniale di pace e di fraternità tra i popoli. Due temi questi che a più riprese il Dalai Lama ha richiamato nel suo intervento, nel quale ha parlato anche del bisogno di «appoggiare la giustizia, la libertà e la verità», senza le quali è impossibile vivere in pace. Poi ha sottolineato che, nella sua opera quotidiana di «semplice monaco», si impegna a promuovere «il valore umano», l’incontro tra le religioni e, naturalmente, la causa del suo popolo oppresso. «Abbiamo consolidato un sistema democratico - ha ricordato - e quindi presto potrò ritirarmi dagli affari politici. Ma questo non vuol dire che non mi interesserò più del Tibet, perché continuerò a dare il mio sostegno fino alla morte».
Il sindaco Alemanno ha voluto ringraziare i tanti rappresentanti del governo presenti in aula (tra loro i ministri Maurizio Gasparri e Giorgia Meloni) e ha ribadito «la richiesta dell’Italia e dell’Unione Europea verso la Repubblica Popolare Cinese, affinché riprenda il dialogo con i rappresentanti della nazione tibetana per giungere rapidamente ad accordi positivi e definitivi». «La sua presenza in questa sala - ha poi aggiunto Alemanno rivolto a Tenzin Gyatso - rappresenta la nostra rivolta morale di fronte all’ingiustizia, alla violenza e all’oppressione». Marco Pomarici, presidente del consiglio comunale, ha invece evidenziato in apertura di cerimonia la necessità di rendere omaggio «a una delle più alte e rispettate autorità spirituali del nostro pianeta, a un uomo che ovunque si sia recato, ha superato ogni barriera religiosa, etnica e politica, toccando il cuore della gente con l’autenticità dei suoi sentimenti di pace e di amore».
Ed erano in tantissimi, molti rimasti in piedi, a rendergli omaggio riempiendo l’aula Giulio Cesare. Centinaia erano però i presenti all’esterno, in una piazza del Campidoglio colorata da bandiere del Tibet e da striscioni di ogni tipo, come quello esposto dall’associazione Foro753 sotto la statua del Marco Aurelio, che conteneva l’invito a boicottare i prodotti fabbricati in Cina.

Ma prima di lasciare la sala e affacciarsi a salutare la folla, il sindaco e il nuovo cittadino onorario della capitale si sono congedati chinandosi uno di fronte all’altro, quasi sfiorandosi con la fronte. Una maniera simbolica, ispirata dalla tradizione, per suggellare quell’intesa che va oltre la forma, quel rapporto speciale che, da tempo, lega Roma al Dalai Lama e alla sua causa.

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