L’Onu ha inventato la risoluzione «no limits»

di Gian Micalessin

Il regime è crollato, Muhammar Gheddafi è in fuga, Tripoli è caduta. Ma la guerra non si ferma. «La missione - assicura il portavoce della Nato Oana Longescu - continuerà fino a quando ve ne sarà bisogno». Non esagera. Voi non lo sapete, ma la seconda parte dell’avventura libica è già pronta. Lo racconta Al Jazeera «svelando» un progetto Onu che prevede l’invio di osservatori militari internazionali per preparare le elezioni e addestrare l’esercito e la polizia dei ribelli. Nessuno l’ha ancora approvato. Ma va bene così. A legittimare tutto e di più basta la solita risoluzione 1973. Il magico pezzo di carta votato dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu il 17 marzo passerà alla storia. Quando l’hanno approvata sembrava un'inoffensiva «no fly zone». A forza di bombardare è diventata la piattaforma legale per ribaltare il regime. Oggi è il passpartù per la guerra eterna. Sta ai conflitti come l’aspirina all’influenza. Grazie a quel pezzo di carta, Onu e Nato possono fare come gli pare. Possono salvare a colpi di missili i popoli minacciati dai dittatori. Addestrare fazioni ribelli in casa d’altri. Trascinarle per mano alla conquista del potere. Ma anche colpire - a guerra finita - chiunque non si unisca ai vincitori, sguinzagliare 007 e forze speciali sulle tracce degli ex gerarchi in fuga, incenerirli a colpi di missile. Ma questi sono solo alcuni dei vantaggi offerti da questa prodigiosa panacea dell’arte bellica e diplomatica. L’altra novità della risoluzione «modello 1973» è la sua capacità d’anestetizzare qualsiasi detrattore, spegnere qualsiasi opposizione, ridurre al silenzio qualsiasi contestatore. Grazie alla magica «1973» non è più necessario far i conti con pacifisti, scudi umani e militanti dei diritti umani. Grazie a lei anche questi stimati protagonisti delle guerre del passato sono definitivamente passati di moda. Sognano pure loro la caduta dei tiranni. Trepidano per la guerra igiene dei popoli. Il palcoscenico libico ne è la dimostrazione. Il Colonnello e i signori del Male sono in fuga. Tripoli è nelle mani delle forze del Bene santificate dall’Onu, benedette dal presidente Obama, difese dalla Nato. Eppure la macchina bellica non si ferma. Come testimonia la Croce Rossa gli ex ribelli continuano a far prigionieri. E gli aerei della santa coalizione continuano a battere il deserto della Sirte, colpendo preventivamente chiunque pensi di opporsi ai nuovi signori. Le tribù di quel pezzo di Libia non scendono a patti con Bengasi? Non ammainano le bandiere verdi della Jamahiriya? Non calano le braghe davanti ai trionfatori? Bene, allora giù bombe. Sabato i Tornado inglesi hanno colpito la Sirte per 29 volte. Eppure nessun pacifista ha detto manco «beh». Nessun «scudo umano» sopravvissuto all’era di Saddam s’è precipitato a incatenarsi alle moschee. Nessun medico di Emergency progetta d’aprirvi ospedali. Nessun giornalista democratico formula una o dieci domandine sulla legittimità di quelle missioni. Eppure qualche problemuccio c’è. Mentre la risoluzione 1973 esclude qualsiasi operazione di terra in Libia operano apertamente le forze speciali britanniche, francesi e quelle del Qatar. E visto che non ci sono più civili da salvare contribuiscono a ripulire Tripoli dagli ultimi nostalgici, portare la guerra nel cuore della Sirte, inseguire il Colonnello in fuga.

Un tempo si diceva semplicemente «Guai ai Vinti». Fosse successo ai tempi di Bush e Saddam sarebbe stata la morte della democrazia. Oggi è più banalmente la vittoria del bene e del progresso. Il silenzioso e conforme trionfo del politicamente corretto.

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