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L’Onu: stop agli aerei del raìs Pronte le bombe contro Gheddafi

Allora non scherzava. Anche perché temeva che il Consiglio di sicurezza dell’Onu avrebbe dato il via libera, come poi ha fatto, all’intervento. Tre giorni fa Muammar Gheddafi, nell’intervista esclusiva concessa al Giornale, aveva minacciato in caso di attacco internazionale alla Libia l’uscita dalla coalizione contro il terrorismo islamico e addirittura un capovolgimento di fronti, tornando alle vecchie abitudini che lo videro protagonista, tra l’altro, a Lockerbie. Ieri, poco prima che il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite autorizzasse a maggioranza (con l’astensione di Russia e Cina oltre che di India, Brasile e Germania) l’applicazione di una zona di non volo in Libia, il suo ministero della Difesa l’ha sparata grossa, anzi grossissima. «Ogni operazione militare contro la Libia esporrà a un rischio tutto il traffico aereo e marittimo del Mediterraneo - ha affermato il vertice politico delle forze armate di Tripoli -. Qualsiasi obiettivo civile e militare sarà colpito».
La nota diffusa dall’agenzia ufficiale Jana si conclude con un’aperta minaccia: «Il bacino del Mediterraneo sarà a rischio non solo nel breve periodo, ma anche a lungo termine». Ritorno al terrorismo, insomma. Un pesante tentativo di condizionare le scelte delle grandi potenze riunite ieri sera al Palazzo di Vetro di New York per decidere - ormai in extremis, vista l’avanzata delle forze lealiste in Cirenaica - il da farsi per fermare la violenza contro la parte di popolo libico che ha osato ribellarsi al dittatore. La pesantezza delle minacce di Gheddafi si spiega con la paura. Con le truppe lealiste sulla strada di Bengasi e il rischio di un bagno di sangue imminente il tempo corre velocissimo e gli occidentali si sono ormai convinti ad agire. Prima del voto al Palazzo di Vetro sulla risoluzione che autorizza la protezione dei civili in Libia «con tutti i mezzi» a eccezione di un’occupazione terrestre, il sottosegretario americano agli Esteri William Burns ha detto che gli Usa «sono ora pronti ad appoggiare misure che vadano oltre la no-fly-zone».
E se dopo voto del Consiglio di sicurezza il governo francese confermava l’intenzione espressa in precedenza di effettuare azioni militari immediate, a Roma il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, riuniva il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, e il sottosegretario Gianni Letta per un primo incontro informale, al quale si è unito anche il capo dello Stato, Giorgio Napolitano, dedicato alla svolta nella crisi libica. Un vertice che ha riconfermato la disponibilità italiana a concedere l’uso delle nostre basi dopo il via libera di Onu e Nato.
Con il suo ruggito minaccioso il Colonnello sembrava quindi rispondere in anticipo a un’altra minaccia incombente su di lui, alzando la posta del gioco. E in una corsa contro il tempo che nei suoi intendimenti dovrebbe assicurargli la sopravvivenza e il potere, Gheddafi cercava di chiudere la partita con i ribelli prima di essere a sua volta attaccato con l’autorizzazione dell’Onu. Ieri sera il dittatore è apparso alla televisione di Stato libica annunciando per la notte stessa l’attacco finale contro Bengasi. Toni sovraeccitati e linguaggio truculento, come d’abitudine, mescolato a promesse di clemenza per chi si arrenderà. «Stiamo arrivando, non avremo pietà per chi ci resisterà - ha esclamato il Colonnello -: tutte le case di Bengasi saranno perquisite e chiunque verrà trovato con un’arma sarà considerato un nemico. Chi si arrenderà, invece, sarà graziato. Vedremo se Bengasi è una città di eroi o di traditori».
Ma dopo il voto del Consiglio di sicurezza Gheddafi cambia tattica.

Della risoluzione lamenta che minaccia l’integrità della Libia. Traduzione: per la Cirenaica non rischio certo il potere o la pelle. E per sgombrare il campo da ogni possibile e pericoloso equivoco, arriva anche la disponibilità a osservare il cessate il fuoco.

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