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L’operazione sdegnò anche Napolitano

La discussa vicenda Sme era iniziata con un accordo Prodi-De Benedetti. La vicenda aveva suscitato lo sdegno e l’opposizione del Manifesto, del Pci e dei sindacati, oltre che di Bettino Craxi, allora capo del governo.
La cessione era stata fatta a trattativa privata. L’Iri vendeva il 54,36% della Sme per 497 miliardi: il 51% andava alla Ibp (Industrie Buitoni Perugina, che De Benedetti aveva appena comprato) per 395 miliardi, il resto a Mediobanca-Imi per 102 miliardi. Veniva anche ceduta, gratuitamente, la Sidalm, la società di Motta e Alemagna.
Con la Sme, De Benedetti comprava gli Autogrill e i supermercati Gs, Italgel (Surgela, Gelateria del Corso), Pavesi, Pai, Cirio, Bertolli, De Rica, Burghy, Ciao.
L’accordo fu sottoscritto il 29 aprile 1985. L’operazione fu giustificata con il fatto che la Sme aveva bisogno di capitali mentre l’Iri non poteva far fronte e che De Benedetti avrebbe dato vita ad un grande gruppo alimentare nazionale, fondendo la Sme con la Buitoni Perugina.
Sul Manifesto Valentino Parlato dedicò il 1° maggio l’apertura del giornale all’affare Sme, citando il liberale Ernesto Rossi, denunciando senza mezzi termini l’operazione. Ancora sul Manifesto, Galapagos descriverà «undici zone d’ombra» nell’accordo Prodi-De Benedetti. Negative furono anche le reazioni del Pci, dei sindacati, della Lega delle Cooperative. Giorgio Napolitano, presidente dei deputati Pci, presentò a nome del gruppo un’interrogazione parlamentare. Il prezzo fu ritenuto del tutto incongruo per un gruppo che fatturava circa 4500 miliardi che lavorava in utile (50 miliardi netti). Nella Sme erano stati fatti investimenti per 435 miliardi, più 160 miliardi per la Sidalm.
Un piccolo quotidiano di area socialista, Reporter, denuncia i particolari dell’accordo. Appaiono tutti di favore. Il pagamento è in quattro tranches: 150 miliardi a fine giugno, il resto l’anno successivo, 75 miliardi al 31 marzo 1986, 75 miliardi al 30 giugno, e 197 miliardi a fine dicembre.
De Benedetti acquisisce il gruppo con un esborso minimo. Non ci sono sovrapprezzi e non ci sono interessi. A questo veniva aggiunto il beneficio degli utili del 1985 e di quelli previsti per il 1986, 140-160 miliardi. Inoltre è De Benedetti che vende il 13% a Mediobanca e Imi, due banche allora pubbliche, incassando subito 102 miliardi. Infine risulta che la Sildam (Motta e Alemagna) non è ceduta gratis, ma accompagnata da un aumento di capitale Iri di 30 miliardi, che De Benedetti rimborserà in tre anni, al tasso del 5%, contro il 14-15% di quello di mercato.
Prodi allora scrisse a Reporter per dire che tutto era assolutamente regolare. Craxi, presidente del Consiglio, blocca però l’accordo, sottolineando la «non congruità» del prezzo in sede di Consiglio dei ministri. Vengono avanzate altre offerte. Scalera, professore di Diritto fallimentare a Roma, offre 550 miliardi. Il 29 maggio la Iar, formata da Fininvest, dalla Barilla e dalla Ferrero, offre 600 miliardi, 100 subito, 500 entro due anni. Da Cava dei Tirreni, il signor Giovanni Fimiani, titolare della Cofima, alza la posta a 620. Arrivano la Unicoop (Cooperative bianche) e poi anche la Lega delle Cooperative.
De Benedetti imbocca la via giudiziaria: chiede in Tribunale il rispetto dell’accordo, ma gli viene dato torto. Il 19 luglio 1986 il Tribunale di Roma dà ragione a Prodi, che nella vertenza è paradossalmente diventato antagonista di de Benedetti, il compratore al quale aveva forse con troppa fretta promesso una «svendita».
Il 10 ottobre 1985, poi, l’Iri indice l’asta per la Sme.
L’asta durerà a lungo. La Sme sarà privatizzata in tre tranches, tra fine 1994 e metà 1995, con un esborso, da parte degli acquirenti Benetton-Del Vecchio-Moewenpick di 1700 miliardi per il residuo 62% Iri. A parte erano state già cedute nel 1993 le partecipazioni (sempre 62%) in Italgel, pagata da Nestlè 437 miliardi, e in Cirio-Bertolli-De Rica per 310 miliardi. In Italgel erano confluiti i gelati Motta e Alemagna, e i panettoni della Nuova Forneria. In totale l’Iri ha ricavato poco meno di 2500 miliardi. Forse l’intento dell’allora presidente del Consiglio Bettino Craxi a proposito della «congruità» del prezzo aveva qualche fondamento.


Una vicenda nella quale l’interesse pubblico è stato salvaguardato con intervento tempestivo che ancora oggi si ha la faccia tosta di considerare una interferenza «politica», mentre fu un atto assolutamente corretto e doveroso.

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