L’oppositore tenta un’altra carta: «Voglio volare in Usa con Hillary»

Stati Uniti e Cina sono bloccati in una disputa diplomatica intorno allo sorte del dissidente cieco Chen Guangcheng, piantonato dalla polizia cinese nell’ospedale Chaoyang di Pechino dopo essere fuggito dagli arresti domiciliari e aver trascorso sei giorni nell’ambasciata americana. Chen aveva accettato di lasciare l’ambasciata dopo aver ricevuto assicurazioni sul futuro suo e della sua famiglia ma in seguito, una volta arrivato in ospedale e viste le condizioni nelle quali si trovava, dopo aver parlato con la moglie e con amici come l’avvocato dissidente Teng Biao e la blogger Zeng Jinyan, ha cambiato idea, chiedendo asilo politico negli Usa.
«Il mio sogno - ha detto - è di partire con la mia famiglia sull’aereo di Hillary Clinton», che è a Pechino per il vertice annuale tra i due paesi. Chen si è rotto un piede durante la fuga e i medici lo stanno sottoponendo ad una serie di indagini cliniche per verificare il suo stato di salute, indebolito da oltre quattro anni di prigione e 19 mesi di arresti domiciliari, durante i quali è stato sottoposto a torture fisiche e psicologiche. Chen ha detto di essere isolato e che ai diplomatici americani è stato impedito di vederlo. Funzionari americani affermano che stanno facendo «tutto il possibile» per farlo espatriare mentre la Cina tace dopo aver aspramente criticato l’ambasciata e aver chiesto le «scuse» degli Usa.
Nel giorno di apertura del «dialogo strategico ed economico» Chen Guangcheng è stato il convitato di pietra. Clinton, senza nominarlo, ha attaccato la Cina sui diritti umani, affermando che «tutti i governi devono rispettare l’aspirazione dei loro cittadini alla dignità e al rispetto della legge». Il presidente cinese Hu Jintao ha risposto che le relazioni tra Cina e Usa devono basarsi «sul reciproco rispetto», accenno alla violazione della sovranità cinese che gli Usa avrebbero compiuto ospitando Chen nell’ambasciata.
L’ambasciatore americano Gary Locke ha sostenuto che Chen «è sempre stato molto, molto chiaro, fin dal principio sul fatto di non voler lasciare la Cina ma restare per partecipare alla battaglia per i diritti civili e per completare i suoi studi di legge». Chen, 40 anni, è un avvocato autodidatta che ha trascorso oltre quattro anni in prigione per aver denunciato la pratica degli aborti e delle sterilizzazioni forzate nello Shandong. In lunghi negoziati con funzionari cinesi, ha proseguito Locke, è stato raggiunto un accordo sul fatto che Chen e la sua famiglia sarebbero stati portati in una località dove il dissidente avrebbe potuto completare i suoi studi, cioè la città e l’Università di Tianjin, accordo smentito dai cinesi. In seguito il dissidente ha chiesto un gesto «di buona volontà» al governo, che ha accettato portando a Pechino sua moglie e i loro due figli.

L’ambasciatore ha precisato che «nessuna pressione di nessun tipo» è stata esercitata su Chen per convincerlo a lasciare l’ambasciata. «Stiamo cercando di capire cosa voglia veramente e cosa possiamo fare per aiutarlo». Ma, ha concluso, «l’unica cosa certa è che ieri ha fatto una scelta e che oggi ha cambiato idea».

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