L’orchestra Verdi e quella musica che deve cambiare

La cultura di una città è - o dovrebbe essere - in primo luogo «urbana». Per quanto polemica e polis possano essere connesse la scelta di stare dalla parte della «polis» implica un atteggiamento civile, relazionale e non autoreferenziale. Da questa considerazione provo a scrivere ciò che sento della Verdi quale risorsa non solo simbolica di Milano. Con una premessa: la musica è una misteriosa forma di tempo. E di spazio. In essa convivono pathos e razionalità, emozioni e tecnica, passioni e scrittura. Se il suo ascolto è poesia, tuttavia dietro le quinte vi è un’articolata «prosa» organizzativa, economica, sociale. Quest'ultima incide perlomeno sul piano psicologico sulla prestazione degli artisti e, dunque, sulla qualità dell'offerta culturale. Quando indico nella Verdi una risorsa non solo simbolica voglio dire che l'offerta culturale musicale è un investimento per tutti; per il territorio come fattore di sviluppo anche economico, per gli spettatori che, grazie alla musica, possono alimentare e rivivere sentimenti fondamentali quali la gioia e perché no? l'inquietudine. La Verdi ha dato molto al territorio ma non di meno ha ricevuto. Nata come associazione con un'indiretta volontà di essere un'alternativa privata alla Scala si è poi trasformata. Dal 2002 è una Fondazione partecipata anche dal Comune che allora contribuì per la realizzazione del progetto con 775mila euro. Negli anni abbiamo assistito a una discontinuità di contributi, insoddisfacente per tutte le parti in causa. Benché la Verdi abbia posseduto delle peculiarità che la resero quasi unica nel panorama italiano (ruolo dei privati, ricavi propri, età media degli orchestrali, legame con l'Auditorium) sembra indispensabile, di fronte a una crisi economica e finanziaria così seria come quella che sta attraversando il Paese, ripensare al ruolo «del pubblico» al suo interno. A tal fine dato il relativo clima d'insofferenza tra la fondazione e gli enti in questi anni, mi è parso necessario aprire un tavolo di discussione non sulle urgenze economico-finanziarie di oggi (che pure vi sono e con diversi milioni di debiti pregressi), ma sulla strategia del futuro.

Dove e come cercare contributi economici valorizzando l'esperienza privato-pubblico che non ha ancora raggiunto un regime adeguato? Come e dove cercare nuovi spettatori e sponsor? Sottrarsi ad un tentativo di risposta è letale dissonanza con la città.
*Assessore alla cultura
Comune di Milano

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