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L’organizzatore dell’11 settembre critica Bin Laden: «Parlava troppo»

«Diceva agli ospiti di pregare per un’operazione con 20 martiri. E volle gente inadatta nel gruppo suicida»

da Los Angeles

Osama Bin Laden parlava troppo degli attentati e voleva imporre persone inadatte nella squadra dei terroristi suicidi. Sono parole pesanti quelle che il Los Angeles Times attribuisce al kuwaitiano Khalid Sheikh Mohammed, l’uomo che organizzò gli attacchi dell’11 settembre 2001 e che le ha pronunciate nel corso degli interrogatori ai quali lo hanno sottoposto gli americani, che lo detengono da quando fu catturato in Pakistan nel 2003.
Mohammed vanta da una parte la presunta superiorità del sistema gerarchico adottato in Al Qaida, ma dall’altra squarcia il velo sulle rivalità interne al suo vertice. Già nel 1996 il kuwaitiano aveva suggerito a Bin Laden l’idea di dirottare aerei e farli schiantare contro edifici, ma questi la respinse come irrealizzabile; tre anni dopo, però, cambiò idea e affidò il progetto a Mohammed. Già nell’ottobre 2000 le squadre dei dirottatori erano state completate, ma Bin Laden «insisteva per inserirvi persone che non sapevano tacere e voleva affidare la direzione del team suicida a Nawaf Alhazmi e Khalid Almidhar, due suoi protetti che furono coinvolti solo perché avevano il visto per gli Stati Uniti»; ma solo uno dei due sapeva qualche parola d’inglese e non conoscevano la società americana, per cui Mohammed temeva che si facessero notare e rovinassero i piani.
Bin Laden, però, insistette e i due furono inviati a San Diego in California: fecero entrambi parte del gruppo dei 19 dirottatori. Sheikh Mohammed si oppose anche all’arruolamento del mancato ventesimo dirottatore, Mohammed Al Qathani, sempre imposto dal numero uno: lo giudicava «un beduino troppo semplice per la società moderna». E infatti Qathani fu fermato al suo arrivo in Florida per atteggiamenti sospetti e non ammesso negli Usa.
Bin Laden volle a tutti i costi nel gruppo anche Zacarias Moussaoui, un altro personaggio incapace di tenere a freno la lingua, e che finì arrestato un mese prima dell’11 settembre diventando poi l’unico indagato in America per quegli attentati. Ma era lo stesso Osama che continuava a farsi sfuggire indiscrezioni.

Una volta raccontò a dei visitatori nel suo quartier generale afgano di aspettarsi un grande attacco contro gli interessi americani, e un’altra chiese ad aspiranti terroristi in addestramento «di pregare per il successo di una grande operazione con venti martiri».

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